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5Disse, e seguì): lo so, tu spirto altero
     Chiami vile quel passo, ov’io t’appello;
     Ma se ci sforza, Ahime! fato rubello,
     Dunque al fato ubbidir fia vil pensiero?
Contra noi pugna, più che ’l Roman telo,
     10L’odio degli astri: or tu la doglia fuga,
     Che pregio è all’uom muovere invidia al Cielo.
Forte o Figlio mi segui, e il ciglio asciuga:
     Che se al ritorno io glorioso anelo,
     È del provido cuor gloria la fuga.


VI


Ecco Libia in Europa, ecco Cartago,
     Che fa i lauri tremare in fronte a Roma:
     Pure eterna l’intrepida si noma,
     Che le accresce valor l’ardir presago.
5D’Italia intanto entro il terren più vago
     Incatenato da una vaga chioma
     D’Africa il gran terror se stesso doma,
     E del Lazio il destin rendesi pago.
Il Tebro alle delizie allor si rese;
     10E obblìo sopra ogni cura impinge e spande,
     Poichè cessato è il suo crudel spavento.
Odimi, o Roma: le tue chiare imprese
     Frutti d’affanno fur non di contento,
     Che se Annibal non era, eri men grande.


VII


O Peregrin, che muovi errante il passo
     Per quest’arena, ov’erba mai non crebbe,
     Questo è lito crudel, ch’ingrato bebbe
     Il sangue di Pompeo di vita casso.
5Onusto di trionfi, e non mai lasso
     Il grande Eroe, cui tanto il Tebro debbe,
     Quì tradito cadette, e qui non ebbe
     Per sepolcro nè pure un nudo sasso.
Tu, se barbaro sei, la sabbia impressa
     10Ammira del gran tronco, e il suolo adora
     Ove Roma con lui perde se stessa.