Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
264 |
XX1
Le Ninfe, che pei colli e le foreste
Del picciol Ren han loro stanza, il giorno
Che Costei le lasciò, le furo intorno
Tutte nel viso lagrimose e meste,
5Ohimè, che fan queste aspre lane, e queste
Funi, dicean, che annodi al fianco attorno?
E quai ruvide bende al collo adorno
T’hai cinte, e quai ghirlande al crin conteste?
Ella con fermo viso, e con sembiante
10Cui d’altro cal, pur le consola, e affretta
Pur alla fuga le veloci piante.
Tal che gridar: certo a gran prove eletta
Fu questa; e grande amore, e grande amante
È quel che siegue, e gran mercè n’aspetta.
XXI2
Dalla vegliata inesorabil notte
Io non poteva anche impetrar riposo
Quando, all’entrar delle cimmerie grotte,
Sopimmi al fin tra pianti miei pensoso.
5Ed ecco a me le lagrime interrotte
Scorgo da un mattutin sogno amoroso:
M’appar candida luce, onde van rotte
L’ombre ivi intorno, e in essa il Figlio ascoso.
E sì mi parla: o Genitor che pensi?
10Non pianger me, piangi la male amica
Voglia, che troppo ancor ti lega ai sensi.
Sciogli l’alma dal visco in cui s’implica:
Senza liberi vanni al Ciel non viensi:
Riverenza non vuol, ch’io più ti dica.