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Ma quale, ahimè, ne cogli amaro frutto!
     Tu miri i nostri falli, e sudi sangue,
     Vediam noi le tue pene a ciglio asciutto.


IV


Io so, che quando morte avrà già spento
     Mio fuoco, e sparso il cenere infelice,
     Vivrò spirto immortal vita felice,
     Se pur coll’opre al mio destin consenso.
5Pur m’ingombra talor d’alto spavento
     Un funesto pensier, ch’al cuor mi dice:
     Come fia svelta mai da sua radice
     Nostr’alma senza grave aspro tormento?
Com’andrà lieta in parte, onde ritorno
     10Non fè di tanti un sol, ch’a noi ridica
     Quale il sentiero sia, quale il soggiorno?
Porgimi, o santa Fè, la mano amica,
     E tu mi guida, che non veggio intorno
     Se non la nebbia della colpa antica.


GIO. GIUSEPPE ORSI.


I


La mia spoglia più fral di giorno in giorno,
     E il mio svenuto ognor più fosco aspetto
     Fan, che a schivo il mio spirto abbia ricetto
     Fra queste membra, ond’era un tempo adorno.
5Ma, benchè d’abitar si rechi a scorno
     La stanza rovinosa, ov’è ristretto;
     Dubbio tra il novo tedio e ’l vecchio affetto,
     Del pari odio l’uscita, odio il soggiorno.
Io dovrei rallegrarmi, e pur mi spiace,
     10Che s’allentino omai quelle ritorte,
     Cui mal s’attien lo spirto mio fugace.
Stolto! Io vorrei la mia prigion più forte,
     Nè intendo ancor, che libertate e pace
     È quella, a cui dà l’Uom nome di morte.