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E non sia più, gridò, chi l’ardir cieco
10Ai sacri avanzi stenda, e con sue risse
A loro insulti in villan’atto, e bieco:
Quindi a firmare ciò, che allor prescrisse,
Dal cupo uscendo imperial sul speco,
Sull’alto scoglio il gran decreto scrisse.
X1
Lanuvio è questo, e quinci il forte e chiaro
Stuol de’ Miloni, e de’ Mureni uscìo,
E quel si egregio Imperadore, e pio,
Cui tanti in Roma archi, e trofei s’alzaro.
5E benchè il Tempo invidioso, e avaro,
Quasi con note di profondo obblìo,
Con altro nome il nome suo coprìo
Presso del Vulgo stolido, ed ignaro;
E non coprì, nè coprirà giammai
10Quella, che i figli suoi sparsero intorno
Altera luce d’infiniti rai.
E suo malgrado ella di giorno in giorno
Bella s’avanza più di prima assai:
L’Empio se ’l vede, e n’ha vergogna, e scorno.
XI2
Ah! Che giovò di centò Regi, e cento
Mostrar l’effigio intorno intorno appese,
E le colonne in lungo ordine stese,
E gli scrigni dell’oro, e dell’argento?
5Se poi, bella Città, dall’ardimento
Del Tempo ingordo nulla ti difese
Nè alcun’orma di te serba il Paese,
Onde si possa dir: quì fu Laurento
Forse il capo alzeresti al Ciel vicina,
10Se una sorte scieglievi umìle, e bassa,
Altrui lasciando il nome di Reina:
Così piccol tugurio il fulmin lassa