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Gioia e dolcezza da quel giorno avante.
Soavemente i begli occhi volgea
Placida e lieta, e nel fiorito viso
Onesto fuoco in sulla neve ardea;
E scoprendo le perle un picciol riso,
A me rivolta in be’ modi dicea:
Godi, ch’io veggio aperto il Paradiso.
II 1
Questa scolpita in oro amica sede,
Che santo amor nel tuo bel dito pose,
O prima a me delle terrene cose
Donna, caro mio pregio, alta mercede,
Ben fu da te servata, e ben si vede,
Che al comune voler sempre rispose
Dal dì, che ’l Ciel nel mio pensier t’ascose,
E quanto potè dar, tutto mi diede.
Ecco ch’io la t’involo, ecco ne spoglio.
Il freddo avorio, che l’ornava, e vesto
La mia più assai, che la tua mano esangue.
Dolce mio furto, finchè viva, io voglio
Che tu stia meco; nè ti sia molesto,
Ch’or di pianto ti bagni, e poi di sangue.
III
In lieto e pieno di riverenza aspetto,
Con veste di color bianco e vermiglio,
Di doppia luce serenato il ciglio,
Mi viene in sogno il mio dolce Diletto.
Io me gl’inchino, e con cortese affetto
Seco ragiono, e seco mi consiglio,
Com’abbia a governarmi in quest’esiglio,
E piango intanto, e la risposta aspetto.
- ↑ Scipione Ammirato sopra questo Sonetto dice: Il Poeta volendosi serbare alcuna cosa della sua Donna, non ostante che seppellita fosse, mandò un suo nipote, e fè schiodare il legno, e di dito le trasse l'anello.