Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/18

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4 pensieri (1210-1211)

quella lingua; ma non basta, anzi è nullo quest’uso, se non vi si aggiunge il lungo uso di quella poesia. 2o, Somiglianza o affinità di quei metri co’ metri della propria nazione; come fra quelli degl’italiani e degli spagnuoli. La difficoltà del sentire l’armonia de’ versi stranieri è maggiore o minore in proporzione ch’ella è piú o meno diversa dall’armonia de’ nostrali, o da quella o quelle a cui siamo avvezzi. 3o, Abito fatto ad altre armonie forestiere affini a quella di cui si tratta. 4o, Orecchio esercitato a tante e sí diverse armonie, che, mediante una forza riflessiva, osservativa e comparativa straordinariamente accresciuta, sia in grado di avvertire e conoscere o subito o ben presto la natura di quelle combinazioni forestiere, gli elementi di quell’armonia e il ritorno de’ loro regolati rapporti rispettivi; sia in grado di assuefar presto l’orecchio ed abbia una facilità di contrarre abitudine, ch’é propria degli animi e degl’ingegni pieghevoli e adattabili, cioè, insomma, de’ grandi ingegni ec. ec., e possa in poco tempo arrivare a  (1211) scoprire e discernere in detta armonia quello che i nazionali ci scuoprono.

È impossibile al nazionale, avvezzo e formato l’orecchio all’armonia de’ suoi metri, per quanto sia chiamata barbara, dura, dissonante ec. dagli stranieri, il non sentirla meglio e il non trovarla piú dilettevole di qualunque altra armonia forestiera, ancorché giudicata bellissima ec.; fuorché formando (che è difficilissimo e forse non accade mai) un’assuefazione nuova che vinca la passata.

Chi di noi sente l’armonia de’ versi orientali o delle strofe loro? Non parlo de’ versi tedeschi o inglesi o della prosa tedesca misurata ec., in ordine agl’italiani. I quali molto piú presto e facilmente riconoscono un’armonia ne’ versi francesi, perché lingua ed armonia piú affine alla loro.

Si pretende, ed è probabilissimo, che parecchi