Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/238

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224 pensieri (1545-1546-1547)

taggio simile; o finalmente, se la disperazione è estrema ed intera, cioè su tutta la vita, di vendicarsi della fortuna e di se stesso, di goder della stessa disperazione, della stessa agitazione, vita interiore, sentimenti gagliardi ch’ella suscita ec. Il piacere della disperazione è ben conosciuto, e quando si rinunzi alla speranza e al desiderio di tutti gli altri, non si lascia mai di sperare  (1546) e desiderar questo. Insomma la disperazione medesima non sussisterebbe senza la speranza e l’uomo non dispererebbe se non isperasse. Infatti la disperazione piú debole e meno energica è quella dell’uomo vecchio, lungamente disgraziato, sperimentato ec. che spera veramente meno. La piú forte, intera, sensibile e formidabile è quella del giovane ardente e inesperto, ch’é pieno di speranze e che gode perciò sommamente, benché barbaramente, della stessa disperazione ec. (22 agosto 1821).


*    Quelli che meno sperano, meno godono della loro disperazione, e meno anche disperano e conservano piú facilmente una speranza, benché languida, pur distinta e visibile in mezzo alla disperazione. Tale è il caso degli uomini lungamente sventurati e soliti ed assuefatti a soffrire e a disperare. Viceversa dico degli altri. La disperazione poi dell’uomo ordinariamente felice è spaventevole (22 agosto 1821).


*    Siccome non v’è infelicità che non possa crescere (p. 1477), cosí non v’è uomo tanto perfettamente disperato che, sopraggiungendolo  (1547) una nuova, impreveduta e grande sciaura, non provi nuovo dolore. Anzi bene spesso quando anche sia preveduta, quando anche sia quella medesima per cui si disperava. Dunque la speranza gli restava ancora. E nessuno è mai tanto disperato che, se bene si dia a credere di non esser piú suscettibile di maggior dolore e di star sicuro nella sua piena disperazione, non sia realmente