Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/138

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126 pensieri (2245-2246)

due lingue figlie della latina e dalla voce urto, francese heurt, che non è altro che un verbale formato dal participio in us di urgere, alla maniera di tanti altri verbali latini, come dirò altrove (11 dicembre 1821).


*    La sola virtú che sia e costante ed attiva è quella ch’é amata e professata per natura e per illusioni, non quella che lo è per sola filosofia, quando anche la filosofia porti alla virtú, il che non può fare se non mentre ell’é imperfetta. Del resto, osservate i romani. La virtú fondata sulla filosofia non esisté in Roma fino a’ tempi de’ Gracchi. Virtuosi per filosofia non furono mai tanti in Roma, quanti a’ tempi de’ Tiberi, Caligola, Neroni, Domiziani. Troverete nell’antica Roma dei Fabrizi (nemicissimi della filosofia, come si sa dal fatto di Cinea), dei Curii ec., ma dei Catoni, dei Bruti stoici non li troverete.  (2246) Or bene, che giovò a Roma la diffusione, l’introduzione della virtú filosofica e per principii? La distruzione della virtú operativa ed efficace, e quindi della grandezza di Roma (11 dicembre 1821).


*    Alla p. 1148, fine. I latini dicevano obligari votis ed anche obligari semplicemente nello stesso senso sottintendendo votis o voto, come nell’addotto passo di Ovidio, e come in questo che segue di Orazio, obligata significa vota, cioè promessa con voto, votis o voto obligata.

Ergo obligatam redde Jovi dapem.
(l. II, Od. 7, v. 17).


Nel passo di Ovidio pertanto quell’ut non vuol dire in italiano a, cioè ad tangendum, ma affinché ec., secondo il solito (12 dicembre 1821).


*    Involare che presso noi vale solamente rubare ebbe infatti questa significazione non presso i latini