Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/296

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284 pensieri (2513-2514-2515)

Queste verità sono confermate dalla storia di qualunque letteratura e lingua. La purità dell’atticismo non divenne un pregio nell’idea de’ greci, né fu sinonimo d’eleganza presso loro, se non dopo che i greci ebbero a udire ed usare familiarmente voci e frasi forestiere. Omero, Erodoto, Senofonte medesimo (specchio d’atticismo) erano  (2514) stati elegantissimi con voci e frasi forestiere, poco usate da’ greci de’ loro tempi; anzi, per mezzo appunto d’esse voci e frasi, fra l’altre cose. Non si pregia la purità, né anche si nomina, se non dopo la corruzione, cioè quand’essa è pellegrina. E prima della corruzione si pregia il forestiero, perché pellegrino. Ennio, Plauto, Terenzio, Lucrezio ec., specchi della eleganza latina, son pieni di grecismi, cioè di barbarismi. Al tempo di Cicerone, di Orazio, e molto piú di Seneca, di Frontone ec., che l’Italia parlava già mezzo greco, erano sorti i zelanti della purità, e il grecismo lodato in Plauto e in Cecilio (Oraz. ad Pison.) era impugnato ne’ moderni e proibito affatto da’ pedanti e usato con moderazione dai savi, e Cicerone se ne scusa spesso e loda ed ama e deplora la purità dell’antico sermone e la favella di sua nonna, ch’al tempo di sua nonna tutti i buoni scrittori posponevano al grecismo quanto potevano  (2515) farlo senza riuscire oscuri presso un popolo allora ignorante del forestiero e del greco e delle voci e frasi che non fossero nazionali. Dal che, e non da altro, e forse dalla stessa poca loro perizia del greco, nacque che gli antichi scrittori latini, benché abbondanti di grecismi e barbarismi, pur si riputassero e fossero modelli del puro sermone romano, rispetto agli scrittori piú moderni. E lo stesso dico degli antichi italiani.


    E quella ricchissima, fecondissima, potentissima, regolatissima, e al tempo stesso variatissima, poetichissima e naturalissima lingua del cinquecento, ch’a noi, ne’ suoi buoni scrittori, riesce cosí elegante, forse