Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/433

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(2768-2769-2770) pensieri 421

assai di piú, potendo  (2769) farlo, e farlo di volontà sua. Ma Omero stimò di doverci rappresentare in quel punto Achille come egli rappresentollo. E non si creda ch’egli nel far questo abbia solamente in mira di conservare la simiglianza del carattere feroce di Achille, da lui fino allora espresso, e di non farne un personaggio diverso da quel che l’aveva fatto essere. Omero attende a salvare il suo eroe dal biasimo della compassione, cioè della mollezza e della facilità di lasciarsi commuovere e della tenerezza di cuore; come noi attenderemmo (e come infatti i piú moderni epici ec. attesero ec.) a salvarlo dal biasimo della durezza, della insensibilità, della crudeltà verso il nemico, e a procurargli appunto la lode della compassione verso il nemico, come cosa magnanima ec. Omero non ha solamente riguardo all’Achille tal quale egli l’ha fatto, ma alla virtú eroica tal quale allora si concepiva; egli introduce quell’episodio compassionevole in grazia del sommo interesse e del gran contrasto di affetti a cui dà luogo, ma guarda che Achille non offenda in alcuna parte le leggi dell’eroismo; non si mostri leggero, flessibile, dappoco perdonando; non sia ripreso d’essere stato umano  (2770) co’ nemici della sua nazione e suoi.

Tali erano i tempi di Omero, e molto piú quelli ch’egli dipinge: e tali bisogna considerarli volendo ben conoscere ed estimare la somma arte imitativa di quel grande spirito, anche nelle situazioni piú difficili. Siccome appunto era questa assai piú difficile per lui, stante le predette considerazioni, che non sarebbe per noi. Nella quale quanto piú a noi può parere ch’egli abbia peccato, quanto piú egli si allontana dalla nostra opinione, e delude ed étonne la nostra aspettativa, tanto la sua arte è maggiore, la sua imitazione piú vera, la sua osservazione e conservazione de’ caratteri, de’ tempi, de’ personaggi piú costante, e piú mirabile la sua riuscita e la felicità