Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/199

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192 pensieri (3114-3115-3116)

non cosí fu anticamente, né tale fu l’intenzione di Omero scrivendo ai greci), e per avere avuto l’occhio alle moderne opinioni circa l’unità dell’interesse e del soggetto principale. Ma come nell’intenzione di Omero l’unico interesse non dovette esser quello di Achille, né l’unico soggetto e scopo la sua vittoria per se medesima, altrimenti egli non gli avrebbe posto incontro un tal Eroe qual fa Ettore; cosí neanche l’interesse d’Ettore dovette esser l’unico, né la sua sventura per se medesima l’unico soggetto e scopo del poema. Doppio dovette essere secondo l’intenzione di Omero, e doppio infatti riuscí  (3115) a’ lettori o uditori greci l’interesse, lo scopo e l’Eroe del poema.


     E qui si deve considerare il maraviglioso artifizio di Omero. Non solevasi a’ tempi eroici, cioè quasi selvaggi, stimar gran fatto il nemico. L’odio che gli portava la parte contraria, quell’odio il quale faceva che ciascun soldato considerasse l’esercito o la nazione opposta come nemici suoi personali, e con questo sentimento combattesse, non lasciava luogo alla stima. E quando anche s’avesse cagione di stimare il nemico, ciascuno, come si fa de’ nemici personali, cercava a tutto potere di deprimerlo sí nella propria immaginazione che presso gli altri, e ricusava di riconoscere in lui alcuna virtú. Non prevaleva né si conosceva allora quella sentenza che la gloria di chi fortemente combatte e di chi vince è tanto maggiore quanto piú forte e stimabile è il nemico e il vinto. Ma sebbene allora  (3116) ciascuno amasse e cercasse la gloria sopra ogni altra cosa ed assai piú che al presente, niuno si curava di accrescerla a costo del proprio odio verso il nimico, niuno sosteneva di aggrandire a’ propri occhi o agli altrui il pregio della propria vittoria col considerare e render giustizia al valore della resistenza; ognuno preferiva di tenere anzi l’inimico per vile e codardo e tale rappresentarlo agli altri, perché l’odio e la vendetta piú si