Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/225

Da Wikisource.
218 pensieri (3161-3162)

nionio di carattere o di pensieri o d’inclinazioni o di modi o di vita e abitudini, colle sue proprie; e consolandosi ciascheduno delle sue sventure coll’esempio vivamente rappresentato, e piú col vederle quasi celebrate e piante in altrui (e ciò in soggetto e circostanze e persone e avvenimenti illustri, come son quelli cantati ne’ poemi epici), innalzando il concetto di se stesso, quasi il canto del poeta avesse per soggetto la di lui stessa infelicità, ed intenerendosi nella lettura quasi sui propri mali. Ché in verità qualora leggendo i poeti (versificatori o prosatori) o le storie noi ci sentiamo  (3162) commuovere da quelle vere o finte calamità, e ci lasciamo andare alle lagrime, crediamo forse di piangere le miserie altrui, ma piú spesso e piú veramente, o piú intensamente, piangiamo in quel medesimo punto le nostre proprie, o mescoliamo il pensiero di queste al pensiero di quelle, e questa mescolanza (ch’é vera e propria e debita arte, e dev’essere scopo del poeta l’occasionarla) è principal cagione di quelle nostre lagrime. E ci accade allora (e cosí ne’ teatri ec.) come ad Achille piangente sul capo di Priamo il suo vecchio padre e la breve vita a se destinata ec. ec., sublimissimo e bellissimo e naturalissimo quadro di Omero. Le sventure, quando sieno nazionali, o in altra maniera piú particolarmente appartenenti ai lettori, interesseranno sempre piú, per la maggior somiglianza e prossimità, che non è quella dello sventurato in generale, e perché sarà tanto piú facile e pronto il passaggio dell’animo del lettore da quelle calamità alle sue proprie ec. Onde sarà sempre importantissimo che il soggetto del poema sia nazionale, e questi soggetti saranno sempre preferibili agli altri, e la nazionalità conferirà moltissimo all’interesse.

Venendo oramai a ristringere il mio discorso, dico che l’Iliade, benchè, oltre al non esser noi greci, sieno corsi, da ch’ella fu scritta o cantata, ben ven-