Pagina:Zibaldone di pensieri VI.djvu/147

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142 pensieri (3737-3738-3739)

glia, ancorch’ei ne distogliesse subito l’animo; ciò basta, l’attenzione vi fu, l’averlo colpito non è altro che averlo fatto attendere, comunque pochissimo e per pochissimo, comunque obbligandovelo mal grado suo (20 ottobre 1823). (3738)


*   Alla p. 3409. Similmente la lettura di que’ nostri classici (e son quasi tutti) che hanno arricchita la lingua col derivar prudentemente vocaboli e modi dal latino, dal greco, dallo spagnuolo o donde che sia, ci giova sommamente ad arricchirci nella lingua, non in quanto noi con tale lettura apprendiamo que’ vocaboli e modi come usati da quegli scrittori, e perciò come usabili da noi ancora, per esser quegli scrittori autentici in fatto di lingua: ché questa sarebbe maniera di utilità pedantesca, e nel vero se quei vocaboli e modi riuscissero nell’italiano latinismi e spagnolismi ec. non dovremmo imitar quelli che gli usarono, benché classici ed autentici scrittori, né l’autorità loro ci gioverebbe presso i sani, quando noi volessimo usar di nuovo quelle voci e quei modi. Ma detta lettura ci giova in quanto ella ci ammonisce per l’esperienza presente che ne veggiamo negli scrittori, la lingua italiana esser capacissima di quelle voci e maniere; perocché noi veggiamo sotto gli occhi che, sebben forestiere di origine, elle  (3739) stanno in quelle scritture come native del nostro suolo, ed hanno un abito tale che non si distinguono dalle italiane native di fatto, e vi riescono come proprie della lingua, e cosí sono italiane di potenza, come l’altre lo sono di fatto, onde il renderle italiane di fatto non dipende che da chi voglia e sappia usarle; e per esperienza veggiamo che quegli scrittori, trasportandole nell’italiano, le hanno benissimo potute rendere, e le hanno effettivamente rese italiane di fatto, come lo erano in potenza, e come lo sono l’altre italiane natie. Or questo medesimo è quello che nello studio delle lingue altrui