Pagina:Zibaldone di pensieri VI.djvu/7

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2 pensieri (3519-3520-3521)

sendo io stato forzato in certa occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei quell’ostinatissimo e innato timore, in modo che non solo trovava piacere in quello  (3520) che per l’addietro m’era stato sempre di grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser temuto; né la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor naturale, poterono poscia, né possono tuttavia, farmi temere o solamente non amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non temo. Né io son pur, come ho detto, de’ piú irriflessivi, né manco di riflettere ancora in questo proposito all’occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è piú naturale. Questo ch’io dico di me, so certo essere accaduto e accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all’una delle due parti solamente, o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può e fa l’irriflessione (25 settembre 1823). Vedi p. 3908.


*    Tre stati e condizioni della vecchiezza rispetto alla giovanezza1 ed alle altre età. 1o, Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed abituato generalmente alla virtú, e quando l’esperienza insegnava all’individuo le cose utili a se ed agli altri, senza disingannarlo delle oneste o delle inclinazioni virtuose, nobili, magnanime  (3521) ec.; né gli dimostrava la perversità degli uomini, che ancora non erano perversi, né lo disgustava e faceva pentire della virtú, che ancor non era, se non altro, dannosa, e ch’egli per naturale istituto aveva intrapreso fin da principio di seguire, e seguiva; allora i vecchi, come piú ricchi d’esperienza e piú saggi,

  1. Puoi vedere la p. 3846.