Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/278

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(4323-4324) pensieri 269

di avanzatissima civiltà e letteratura ionica o greca, che a tanti altri (come ultimamente a Gino Capponi) sono sembrati cosí evidentissimi, certissimi ed innumerabili. Altrimenti come si potrebbe credere che quei poemi, da Omero o da altri, non fossero scritti subito? che l’uso della scrittura fosse ignoto o sí scarso in una letteratura e civiltà innoltratissima? come supporre sopra tutto una fiorente letteratura non scritta?

Ma se il Müller vuol persuadermi che i poemi d’Omero non  (4324) fossero scritti (al che non farò resistenza, tanto piú che è conforme alla tradizione ricevuta fra gli antichi stessi, a quel che si dice di Licurgo ec.), mi trovi qualche altro mezzo probabile di trasmissione e conservazione fuori della scrittura; non mi parli d’inspirazioni e d’improvvisazioni; mi dica almeno che Omero prima di cantare i suoi versi, li componeva; che li cantava poi piú e piú volte (a diversi uditorii, o in varie occasioni), colle stesse parole, e quali gli aveva composti e cantati; che gl’insegnava ad altre persone, fossero del volgo, o fossero cantori e genti del mestiere, che solessero impararne da altri, non sapendo farne del loro, e col cantarli si guadagnassero il vitto. Allora, considerata anche la superiorità della memoria avanti l’uso della scrittura, superiorità affermata da Platone (Teeteto e Fedro) e confermata dall’esperienza e dal raziocinio, troverò verisimile la conservazione di canti non scritti, sieno d’Omero o de’ Bardi ec.

Ma posto che Omero componesse veramente e meditatamente i suoi canti, in modo da ricordarsene esso poi sempre, e da insegnarli altrui, allora, esclusa anche ogn’idea di piano, non sarà poi fuor di luogo il supporre tra questi canti una certa tal qual relazione; il pensare che Omero nel compor gli uni si ricordasse degli altri che aveva composti, e intendesse di continuarli, o vogliamo dire di continuare la narrazione, senza (torno a dire) tendere perciò ad una meta. Anzi