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il paradiso delle signore

si accontentava di ravvolgerseli e rattenerli arrocchiati con i forti denti d’un pettine di corno. Clara, cui quei capelli indispettivano assai, affettava di ridere, tanto erano male annodati nella loro grazia selvaggia. Con un gesto aveva chiamata una ragazza della sezione della biancheria, volgare ma non spiacevole. Le due sezioni, che erano accanto, non finivano mai di farsi la guerra; salvo che, qualche volta, le ragazze si mettevan d’accordo per canzonare la gente.

— Signora Paolina, guardi un po’ che criniera! — ripeteva Clara, cui Margherita dava del gomito incitandola, e fingendo anch’essa di non poterne più dal ridere.

Ma Paolina non aveva voglia di scherzare; s’era messa a guardare Dionisia e si rammentava di quanto avea sofferto anche lei, i primi mesi, nella propria sezione.

— Che c’è? — diss’ella. — Non l’hanno mica tutte quella criniera lì!

E voltò le spalle alle altre due, che ci rimasero male. Dionisia aveva sentito e le tenne dietro con un’occhiata di ringraziamento, mentre la signora Aurelia le dava un libretto per le fatture, col suo nome, dicendole:

— Domani vi accomoderete un po’ meglio... Ed ora cercate di pigliare gli usi della casa; aspettate che tocchi a voi. Oggi sarà una giornata di molto lavoro, e si vedrà che cosa sapete fare.

Ma la sezione era ancora deserta; a quell’ora eran poche le clienti che salivano al «vestiario». E le ragazze, dritte e lente, badavano a non stancarsi, per esser fresche alle fatiche del pomeriggio.

Allora Dionisia, intimorita dal pensiero che


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