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il paradiso delle signore


— Questo mi fa troppo goffa! — diceva la signora Boutarel.

— Scusi signora, ha torto, — ripeteva Clara — Le spalle stanno stupendamente... Se pure non preferisce una pelliccia o un mantello.

Ma Dionisia trasalì. Una mano le s’era posata sul braccio: la signora Aurelia la sgridava:

— Oh! che fate? state lì a guardare la gente che passa e non movete.... Oh! a questo modo non si può mica andare!

— Una volta che non devo vendere...

— Per voi c’è tante altre cose da fare. Cominciate un po’ dal principio... Ripiegate la roba.

Per contentare le poche clienti ch’erano venute, avevan già dovuto buttare all’aria tutti gli armadi: e sulle due lunghe tavole di quercia, a destra e sinistra della stanza, si ammucchiavano mantelli, pellicce, cappe, vestiti d’ogni sorta e d’ogni stoffa. Senza rispondere, Dionisia si mise a scegliere, a ripiegare, a riporre negli armadi. Era il lavoro delle principianti. Non si lagnò piú, sapendo che lí bisognava sempre obbedire passivamente, ed aspettò che la direttrice volesse lasciarla vendere, come da principio pareva ne avesse voglia. E continuava a ripiegare, quando comparve il Mouret. Si sentí dare una scossa senza sapere il perché, e si fece rossa; credendo ch’egli stesse per parlarle, si sentí ripresa dalla sua strana paura. Ma il Mouret non la vedeva nemmeno: non si rammentava nemmeno piú di quella ragazza che l’impressione graziosa di un minuto lo aveva indotto a proteggere.

— Signora Aurelia! — chiamò seccamente.

Era un po’ pallido, ma non sempre con lo sguardo chiaro e risoluto. Nel fare il giro delle sezioni


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