Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/16

Da Wikisource.

zola

dall’altra un paltoncino di panno orlato di penne di gallo; finalmente mantiglie da teatro in casimirra bianca, in trapunto bianco, guarnito di cigno o di ciniglia. Ce n’era per tutti i capricci, dai mantelli a ventinove franchi fino a quello di velluto da milleottocento.

Il petto colmo dei modelli in legno gonfiava la stoffa, le anche rilevate esageravano la sottigliezza della vita: invece della testa c’era un cartellone col prezzo appuntato con uno spillo, nella felpa rossa del collo; e gli specchi, dai due lati della vetrina, con un effetto cercato apposta, li riflettevano e li moltiplicavano senza fine, popolando la via di quelle belle donne in vendita che avevano in grossi numeri il prezzo loro nel posto del capo.

— Che lavori! — mormorò Gianni che non trovò altre parole per esprimere la sua commozione.

Anch’egli era da capo, lí fermo, a bocca aperta. Tutto quel lusso donnesco lo faceva arrossire dal piacere. Era bello femminilmente d’una bellezza che pareva avesse rubata alla sorella; pelle che schizzava salute, capelli rossi e ben pettinati, labbra e occhi molli di dolcezza. Accanto a lui, nel suo stupore, Dionisia pareva anche piú gracile; con quel suo viso lungo, la bocca troppo grande, e la carnagione non piú fresca sotto i capelli d’un biondo troppo chiaro. E Beppino, biondo anch’egli, del biondo dell’infanzia, si stringeva sempre piú a lei, come assalito da un bisogno inquieto di carezze, turbato e fuor di sé per colpa di quelle belle signore delle vetrine.

Erano tanto curiosi e graziosi, lí sul lastrico, i tre biondini vestiti poveramente di nero, la


14