Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/185

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il paradiso delle signore

stava per ricucire, e gli occhi di Paolina caddero appunto sulla scarpa. Crollò la testa, guardò intorno, e vide anche i polsini e il colletto nella catinella.

— Povera figliuola! me l’immaginavo io! Eh, lo so purtroppo per esperienza. Nei primi temero arrivata da poco da Chartres, e pi, quando il babbo non mi mandava un soldo, n’ho lavate anche io delle camicie! Già, proprio le camicie, perfino le camicie! Ne avevo due, e, come si suol dire, una addosso e l’altra al fosso.

S’era messa a sedere, ansante ancora dell’aver corso. Il suo faccione, con certi occhietti vivaci, con la bocca grande di buona, non era sgradevole per quanto fosse grosso e grasso. E lí per lí si mise a raccontare la sua storia; come aveva passata la gioventú al mulino, come il babbo fosse stato rovinato da un processo, e l’avesse mandata a Parigi a far fortuna, con venti franchi in tasca; e poi come avesse cominciato il mestiere, prima in un negozio in Via Batignolles, poi nel Paradiso delle signore; brutti principi, con tutte le ferite, tutte le privazioni immaginabili; per ultimo, raccontò la sua vita d’ora, come guadagnava duecento franchi al mese, come si divertiva, e non si dava pensiero di nulla. Sul suo vestito di bel panno azzurro luccicavano dei gioielli, uno spillone, una catena da orologio; e sorrideva sotto la sua toque di velluto con una grande penna bigia.

Dionisia s’era fatta rossa rossa, con quella scarpa in mano; e, balbettando, cercava le parole per spiegare la faccenda.

— Ma se m’è toccato anche a me! — ripeté Paolina. — Via, via! ho piú anni di voi; ne


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