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il paradiso delle signore


Le prese le mani e le dette un bacio, spinta dal buon cuore. Quel che piú importava era l’affare del danaro. Una povera ragazzina non poteva mantenere i suoi due fratelli, pagare la pensione del piccino e fare i regali alle sgualdrine di quello grande, a forza di raccattare i soldi che le altre lasciavano cascare per misericordia; perché c’era purtroppo il caso che fino a marzo, fino cioè al ricominciare delle vendite importanti, non le dessero paga fissa.

— Sentite, è impossibile che la duriate a lungo cosí. Io, se fossi in voi...

Ma un rumore, che venne dal corridoio, la fece chetare. Forse era Margherita: l’accusavano di passeggiare di notte, in camicia, per spiare il sonno delle altre. Paolina, che seguitava a stringere le mani dell’amica, la guardò per un po’ zitta zitta, con l’orecchio teso. Poi, riprese a voce bassa bassa, con aspetto pieno di tenera persuasione:

— Io, se fossi in voi, mi piglierei qualcuno.

— Come, qualcuno? — mormorò Dionisia, che li per lí non intese.

Quand’ebbe capito, trasse indietro le mani e rimase senza saper che dire. Quel consiglio le dava noia come un’idea che non le era mai venuta, e non vedeva che utile le porterebbe.

— Oh, no! — rispose semplicemente.

— E allora — continuò Paolina — vuol dire che non ne caverete mai le gambe: ve lo dico io! Le cifre eccole qui: quaranta franchi pel piccino, cinque franchi di tanto in tanto a quello grande; e poi voi non potete mica andare sempre vestita come una stracciona, con queste scarpe che vi fanno canzonare dalle ragazze: già, son proprio le scarpe che vi fanno canzonare... Pi-


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