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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/193

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il paradiso delle signore

ritto da una parte della Fontana Gaillon. Poi, dopo essere uscita l’ultima e aver fatto sola sola, e quasi di nascosto, quattro passi, era sempre la prima a tornare, lavorava o andava a letto, con la testa piena di fantasticherie, presa dalla curiosità di quella vita parigina che non conosceva. Non mica che invidiasse le altre; era anzi contenta della sua solitudine, di quel vivere selvaggio, in cui la sua timidità si chiudeva quasi in fondo a un rifugio; ma l’immaginazione le pigliava la mano: cercava d’indovinare, evocando i piaceri di cui sentiva discorrere continuamente, i caffè, le trattorie, i teatri, le domeniche passate in barca o in campagna. E ne restava presa da un desiderio misto di stanchezza; le pareva d’essere già sazia di quei divertimenti che non aveva provati mai.

Per fortuna in quella sua vita tutta lavoro non restava che poco tempo alle pericolose fantasticherie. Nel magazzino, con le tredici ore di lavoro, schiacciati dalla fatica, i commessi e le ragazze non pensavano davvero a fare all’amore tra loro. Se la battaglia continua per il danaro non avesse fatto sí che la diversità del sesso non fosse piú avvertita, sarebbe bastato a uccidere il desiderio quel continuo giocare agli spintoni che teneva occupata la testa e rompeva le membra. Si poteva appena rammentare qualche raro caso d’amore, tra quelle ostilità, quell’esser compagni nel lavoro, e il sentirsi nei fianchi i gomiti altrui. Non erano piú che ruote ingranate mosse dalla macchina, senza una personalità propria, costretti a non esser altro che una forza aggiunta alle forze in quell’ambiente volgare e possente da falanstero. Soltanto fuori tornavano


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