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amori straordinari con le signore. Una baronessa capitata al suo banco era rimasta come fulminata; la moglie di un architetto gli era cascata tra le braccia un giorno ch’era andato in casa di lei per uno sbaglio accaduto nel misurare la stoffa. Con queste bombe alla normanna nascon deva le donnacce che raccattava in fondo alle birrerie e ai caffè. Come tutti i commessi aveva la mania dello spendere: tutta la settimana stava al banco con l’avidità d’un avaro, col solo desiderio di buttar via a manciate l’intero guadagno la domenica, sui prati delle corse, alla trattoria, ai balli pubblici: non mai un’economia, non mai un soldo messo da parte, il danaro preso da una mano e gittato dall’altra, senza un pensiero mai al giorno dopo.

Il Favier non faceva quella vita. L’Hutin e lui, tanto amici nel magazzino, arrivati all’uscio si salutavano e non si parlavano piú: molti dei commessi, sempre insieme dentro, usciti di lí non si curavano di ciò che gli altri facessero, del come vivessero. Ma l’Hutin aveva per amico intimo il Liénard. Tutt’e due stavano nello stesso albergo, nell’albergo di Smirne, in Via Sant’Anna, una casaccia nera ch’era sempre piena di garzoni di negozio e di commessi viaggiatori. La mattina arrivavano insieme; poi, la sera, il primo che era libero, quando la sua sezione si chiudeva, andava ad aspettare l’altro nel caffè San Rocco, in Via San Rocco, un caffeuccio dove si trovavano di solito i commessi del Paradiso delle signore a bociare e sbevazzare, giocando alle carte tra il fumo delle pipe. Spesso rimanevano lí fin verso il tocco, quando il padrone, stanco, li cacciava fuori. Ma da un mese, tre volte la settimana, passavano la serata in un 194


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