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era avvezza a stare in famiglia, che le poche sere che avrebbe potuto desinare col marito e il figliuolo, preferiva, sentendosi un pesce fuor d’acqua, piantar lí tutto e andarsene alla trattoria. Il Lhomme scappava via dal canto suo, tutto contento di tornarsene alla vita di giovinotto, e Alberto, con un gran peso di meno sullo stomaco, correva dalle sue belle: in questo modo, non piú abituati alla vita di famiglia, dandosi impaccio l’un l’altro e annoiandosi insieme, la domenica non facevano che attraversare il loro quartiere come un albergo qualsiasi dove si va a dormire la notte.

Per la scampagnata a Rambouillet, la signora Aurelia bastò che affermasse che le convenienze impedivano ad Alberto di andarvi anche lui, e che il babbo avrebbe anch’egli fatto bene a rifiutare: tutt’e due ne furono arcicontenti. Le ragazze, a mano a mano che quel giorno di felicità si avvicinava, non la facevano piú finita, e raccontavano i loro preparativi come se avessero dovuto fare un viaggio di sei mesi. Dionisia, pallida e silenziosa nel suo abbandono, doveva star lí a sentirle.

— Vi fanno arrabbiare, non è vero? le chiese una mattina Paolina. Io, al vostro posto, gliela darei io! Si divertono? e mi divertirei anch’io!... Venite con noi domenica: il Baugé mi conduce a Joinville.

— No, grazie — rispose la giovinetta con la sua tranquilla ostinazione.

— Ma perché?... Avete paura che vi piglino per forza?

E Paolina rideva con la sua aria bonacciona; Dionisia sorrise anche lei. Lo sapeva come andavano le cose; tutte le ragazze avevan cono-


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