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il paradiso delle signore

piú limpida sull’altra riva la veduta d’una pianura, che ben coltivata si stendeva loro dinanzi.

Dionisia andava dietro a Paolina e al suo che camminavano con le braccia attorno alla vita l’uno dell’altra; aveva colto una manciata di pratoline, e guardava l’acqua che scorreva, sentendosi felice, ma col cuore un po’ commosso, chinando la testa quando il Baugé si curbaciare l’amica sua. Delle lacrime le salirono agli occhi; e pure non soffriva. Ma che dunque, perché si sentisse mancare il respiro a quel modo, e perché mai quell’aperta campagna, dove aveva creduto trovare pace e serenità, la empiva invece d’un vago rimpianto, di cui non avrebbe potuto dir la ragione?

A colazione poi, le risate rumorose di Paolina la stordirono mezza. Paolina, che era appassionata per i dintorni della città come un’attrice costretta a vivere, al lume della ribalta, nell’aria rinchiusa e guasta dalla folla, aveva voluto mangiare sotto un pergolato, sebbene il vento fosse un po’ fresco. Si divertiva alle ventate che facevano svolazzare la tovaglia, e le piaceva vedere il pergolato ancor tutto nudo, coi fili di ferro rinverniciati, che mettevano l’ombra loro geometrica sulla tavola. Del resto, piú che ad altro, badava a mangiare e bere, con una golosità affamata da ragazza mal nutrita nel magazzino, che fuori si piglia un’indigestione dei piatti che le piacciono; il suo vizio era quello: quanti quattrini aveva se li spendeva in pasticcini, in frutta acerbe, in ghiottonerie ingozzate alla lesta nelle ore di libertà. Ma vedendo che Dionisia n’aveva abbastanza delle uova, del fritto, del pollo, si rattenne e non osò di ordinare le fragole, pri-


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