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zola

do alla prima stanza, dove desinava solo solo dopo esser venuto da Parigi a piedi, tanto per svagarsi un po’. Nel riconoscere quella voce amica, Dionisia, che si sentiva mancare, cedé, senza pensarci, al bisogno d’un appoggio.

— Signor Deloche, tornate a Parigi con noi! — gli disse. — Datemi un po’ il braccio.

Paolina e il Baugé, che camminavano innanzi, stupirono. Non l’avrebbero creduto mai che la cosa sarebbe andata a finire a quel modo, e con quel torsolo lí! C’era un’ora alla partenza del treno, e andaron sino in fondo all’isolotto, lungo la riva, sotto i grandi alberi, e ogni poco si voltavano indietro e mormoravano:

— Dove sono? Ah! eccoli!... E curiosa, proprio curiosa!

Dionisia e il Deloche per un po’ erano stati zitti. Il frastuono della trattoria s’andava smorzando, e nel fondo della notte prendeva una dolcezza di musica; ed essi s’addentravano sempre piú nel freddo degli alberi per cacciarsi da dosso la febbre di quella fornace, della quale i lumi ad uno ad uno si spegnevano dietro le foglie. Avanti a loro s’alzava quasi un muro di tenebre, una massa d’ombra in cui i tronchi, i rami, si confondevano, tanto fitti che non lasciavano scorgere nemmeno piú la traccia del sentiero. Eppure le coppie seguitavano adagio adagio, senza paura. Poi i loro occhi si avvezzarono a quel buio, e videro a destra i tronchi dei pioppi simili a scure colonne che sopportavano le cupole dei loro rami tra i quali luccicavano le stelle, e a sinistra il fiume che di tanto in tanto splendeva nel buio come uno specchio di stagno. Il vento s’era calmato: non si sentiva piú che il fruscio dell’acqua.


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