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sul cassettone. Ma volle allora offrirle un po’ di tè, si diede da fare intorno al fornello a spirito, e dove andar fuori a comprare lo zucchero; sonava la mezzanotte quando lo mescé nelle tazze.

— Bisogna che me ne vada — ripeteva Dionisia.

E Paolina rispondeva:

— Ora... I teatri non si chiudono tanto presto!

Dionisia in quella stanza da scapolo si sentiva imbarazzata. Aveva veduta l’amica mettersi in sottana e sottovita, e stava guardandola mentre l’altra preparava il letto, tirava giú la coperta, picchiava sui guanciali con le braccia nude. E quell’apparecchiamento d’una notte d’amore, fatto sotto i suoi occhi, la faceva vergognare, risvegliandole nel cuore ferito il ricordo dell’Hutin. Anche in quel punto, si sarebbe sentita mancare la forza. Tali giornate non eran davvero fatte per la salute. Finalmente, a mezzanotte e un quarto, se n’andò. Ma andò via confusa, perché al suo innocente buona notte, Paolina rispose storditamente:

— Grazie! la nottata sarà buona di certo!

L’uscio particolare che conduceva all’appartamento del Mouret e alle camere degl’impiegati, era in Via Nuova Sant’Agostino. La Cabin tirava il cordone e poi dava un’occhiata per segnare quelle che tornavano. Una lampada era accesa al pianterreno. Dionisia in quella luce incerta si sentí inquieta, perché nello svoltare dall’angolo della strada aveva veduta la porta che si richiudeva dietro l’ombra di un uomo. Doveva essere il padrone che tornava da una serata; e l’idea ch’egli fosse là al buio, forse anche ad aspettarla, le metteva addosso una paura strana,


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