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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/267

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il paradiso delle signore

do, il giorno dopo, mise Dionisia in un cantuccio della bottega. Come si fa a lasciare le persone morir di fame lí accanto a voi?

— Vi darò due franchi il giorno. Quando troverete di meglio, ve n’andrete.

La ragazza aveva paura di lui: e si sbrigò cosí presto di quel lavoro ch’egli dové scervellarsi a trovargliene dell’altro. Le faceva ricucire la seta, accomodare le trine. I primi giorni Dionisia non osava alzar la testa, sentendoselo intorno con quella criniera da leone invecchiato, quel naso da pappagallo, quegli occhi che bucavano sotto i ciuffi irti delle sopracciglia. Aveva la voce dura, i gesti da pazzo; e tutte le mamme del vicinato impaurivano i bambini minacciando di mandarlo a chiamare, come si mandano a chiamare i carabinieri. Ma i ragazzi avevano un bel passare dinanzi alla bottega gridandogli insolenze: pareva non le sentisse nemmeno. Tutta la sua collera di maniaco si sfogava contro quei mascalzoni che gli disonoravano il mestiere a forza di vendere per nulla della robaccia di cui neanche i cani si giovavano!

E Dionisia tremava quando lo sentiva gridare furiosamente:

— L’arte è bell’e rovinata! avete capito?... Non si trova piú un manico fatto a modo; i bastoni, lo so anch’io, tutti son buoni a farli, ma i manichi... Trovatemi un manico e vi do venti franchi!

I manichi erano il suo orgoglio: non c’era in tutta Parigi uno che sapesse fare un manico come i suoi, forti e leggieri. Si divertiva specialmente a intagliarne il pomo con grazia e fantasia, senza mai ripetersi; fiori, frutta, animali, teste lavorate con disinvoltura e viva rappresen-


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