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moveva dal marciapiede, vivevano; le trine avevan brividi e ricadevano nascondendo la profondità del magazzino con un’aria di mistero che turbava; le pezze stesse delle stoffe, pesanti e quadrate, respiravano con alito tentatore; gli abiti si drizzavano anche piú eleganti nelle curve loro su fantocci che se ne animavano, specialmente il gran mantello di velluto morbido e tiepido come se avvolgesse spalle di carne, con sussulti del petto e fremiti delle anche. Ma il calore da opificio, onde la casa ardeva, veniva soprattutto dalla vendita, dalla ressa nelle sale che si sentiva dietro i muri. Un rumore continuo di macchina, che cacciasse dentro gli avventori, li ammucchiasse dinanzi agli scaffali, li soffocasse sotto le merci, poi li gettasse alla cassa. E ciò, regolarmente, con un ordine rigoroso, quasi meccanico; un popolo intero di donne passava traverso la forza logicamente sicura delle ruote dentate.

Dionisia, fin dalla mattina, n’era tentata. Quel magazzino tanto grande per lei, nel quale ella vedeva in un’ora entrare piú gente che dal Cornaille in sei mesi, la stordiva e l’attirava; e nel desiderio di entrarvi era anche un po’ di paura mal distinta, ma che la seduceva anche piú. Nel tempo stesso la bottega dello zio le dava un senso di malessere. Sentiva uno sdegno quasi istintivo, una repugnanza naturale per quel gelido sotterraneo del vecchio commercio.

Tutto questo tumulto di sensazioni, l’accoglienza un po’ asprigna dei parenti, la colazione fatta tristamente in un buio da prigione, quell’aspettare in mezzo alla solitudine sonnacchiosa di quella vecchia casa agonizzante, si compendiavano in una cupa prostrazione, in un deside-


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