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— Lo so, — mormorava — i vecchi non hanno piú fiamma... Ci vogliono i giovani a riaccendere le cose. I giovani hanno il fuoco addosso, è naturale... Ma no, no, non posso, non posso proprio! Se cedessi, poi me lo verreste a rinfacciare.

Si chetò fremendo. E siccome il giovinotto stava sempre a capo basso, gli domandò per la terza volta, dopo qualche secondo di silenzio penoso:

— Non dici nulla?

Finalmente il Colomban, senza alzar gli occhi, rispose:

— Non c’è nulla da dire... Siete voi il padrone; voi la sapete piú lunga di noialtri. Se proprio volete, aspetteremo e cercheremo di farcene una ragione.

Era bell’e finita. Il Baudu sperava ancora che gli si buttasse tra le braccia gridando: «Riposatevi, babbo; tocca ora a noi; dateci il negozio com’è, e lo salveremo noi!». Poi lo guardò e si vergognò di se stesso; si accusò nell’anima sua d’aver teso un tranello ai suoi figliuoli. Si risvegliava in lui la vecchia onestà maniaca del negoziante: aveva ragione quel giovinotto con la sua prudenza, perché nel commercio non si può andare avanti col sentimento, ma con i numeri.

— Abbracciami, figliuolo mio, — disse per conchiudere. — È bell’e fissato; si riparlerà di matrimonio tra un anno. Prima di tutto, gli affari!

Quando la sera, nella loro camera, la Baudu domandò al marito come fosse andata, questi era ostinato piú di prima a voler combattere in persona sino alla fine. Fece grandi elogi del Colomban; un bravo ragazzo, saldo nelle sue idee, ti-


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