Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/340

Da Wikisource.

zola

mezzo, reggeva su il bambino che se la rideva allegramente. Soltanto una donna magra si arrabbiava e diceva insolenze perché una accanto a lei pareva le volesse entrare in corpo.

— Qui ci lascio il vestito! — ripeteva la De Boves.

La Marty, senza dir nulla, col viso ancora ghiacciato dall’aria aperta, si alzava in punta di piedi per vedere sopra alle teste l’interno del magazzino. Le sue pupille grige eran piccole come quelle d’una gatta che venga dalla luce piena; e pareva che non distinguesse nulla, col suo sguardo vuoto come se si svegliasse allora.

— Ah! finalmente! — disse respirando.

Le signore s’erano a un tratto sentite libere: si trovavano nella sala di Via Sant’Agostino, e la loro sorpresa fu grande nel vederla quasi vuota. Ma se la godevano, pareva loro di entrar nella primavera, uscite dall’inverno della strada. Mentre fuori il vento soffiava gelido, la bella stagione nelle gallerie del Paradiso sembrava si posasse tiepida con le stoffe leggiere, lo splendore fiorito delle tinte chiare, l’allegria campestre delle mode da estate e degli ombrellini.

— Guardate, guardate! — esclamò la De Boves, immobile, con gli occhi in su.

Era la mostra degli ombrellini. Aperti, rigonfi come scudi, coprivano la sala dall’invetriata fino alla cornice di quercia inverniciata. Intorno agli archi stavano come festoni; lungo le colonne sottili scendevano in ghirlande; sull’orlo delle gallerie, perfino sui gradini delle scale, si allineavano in file strette: e dappertutto, sposti in ordine simmetrico, coprendo i muri di strisce rosse, verdi e gialle, sembravano grandi lanterne alla veneziana, accese per qualche festa


338