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le bisbigliavano dietro le spalle. Era per via della lettera. Vedendosi come spogliata in presenza di tutti quegli uomini, fu ripresa dai brividi che le aveva dati la lettera.

— Io non sapevo... — badava a ripetere Paolina. — E poi, che c’è di male? Si lascian discorrere; e crepino quanti sono!

— Amica mia, — disse alla fine Dionisia con la sua aria da donna savia — perché me la dovrei pigliare con voi?... Non avete detto che la verità. Ho ricevuto una lettera. Sta a me rispondere.

Il Deloche se n’andò ferito nel cuore, credendo che la giovinetta volesse andare quella sera all’appuntamento.

Quando ebbero finito di mangiare, in una sala piú piccola accanto all’altra, e dove le donne eran trattate un po’ meglio, Paolina dové aiutare Dionisia a scendere, perché il piede le si stancava troppo.

Nel magazzino l’inventario procedeva anche piú alacremente: tutti s’accorgevano del poco lavoro fatto in mattinata, e tiravan via per finire entro la serata.

Le voci si alzavano, non si vedevano che braccia gesticolanti nel votar gli scaffali e nel buttar giú le merci: non si poteva piú camminare, perché pacchi e involti salivano di terra fin quasi ai banchi.

In fondo alle sezioni, quelle teste che si dimenavano, quei pugni tesi, quelle membra in sussulto, avrebbero potuto far credere a un subbuglio.

Era invece l’ultimo sussulto della macchina che stava per scoppiare. Davanti i cristalli, intorno al magazzino chiuso, continuavano a pas-


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