Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/423

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to mantello che non le tornava bene. Quando avesse avuta la ragazza in camera sua, avrebbe trovato il modo di chiamare il Mouret, e qualche cosa sarebbe nata. Il Bouthemont, che le si era messo a sedere di faccia, la guardava con i suoi begli occhi ridenti, cercando di farli seri. Quell’allegro bontempone, dalla barba nera come l’inchiostro, quel clamoroso gozzovigliatore cui il sangue caldo di guascone faceva rossa la faccia, pensava che le signore non valevano gran che, e quando osavano votare il sacco ne dicevano delle belle! Le amanti dei suoi amici, povere ragazze di magazzino, non avrebbero mai fatto confessioni di quella sorta.

— Ma, — osò domandarle alla fine che ve n’importa a voi, se, ve lo posso giurare, tra loro due non c’è nulla proprio nulla?

— Appunto per questo! — esclamò lei. — Che volete che me ne importi delle altre? Quelli son capricci che si sfogano in mezz’ora!

Parlò di Clara con disprezzo; le avevano detto che il Mouret, dopo i rifiuti di Dionisia, s’era ributtato a quella rossa con la testa da cavallo, ma con un secondo fine: perché la faceva restare nella sezione in modo che tutti lo sapessero, e la colmava di regali. E poi da tre mesi menava una vita dissestatissima, sparpagliando i quattrini con una prodigalità di cui parlavano tutti; aveva comprata una casa a una ballerina, manteneva due o tre sgualdrine insieme, e pareva che costoro facessero a chi gli imponesse capricci piú costosi e piú stupidi.

— E la colpa è tutta di quella ragazza! — ripeteva Enrichetta, — Si rovina con le altre, perché lei non lo vuole... Del resto, che me n’importa del suo danaro? Avrei preferito che fosse


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