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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/465

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il paradiso delle signore


Pensava che aveva offerto alla giovinetta sete, velluti, ciò che avesse voluto prendere a piene mani in quei mucchi enormi, e che, con un piccolo cenno della testolina bionda, lei aveva rifiutato tutto.

Dava quindi, all’altro capo del sotterraneo, la solita occhiata all’ufficio di spedizione. Interminabili corridoi si stendevano illuminati a gas; a destra e sinistra i depositi chiusi da cancelli parevano botteghe sotterranee di un intiero quartiere di commercianti; mercerie, biancheria, guanti, chincaglierie addormentate nell’ombra.

Poi c’era uno dei tre caloriferi; poi un posto di pompieri a guardia del contatore centrale del gas, chiuso in una gabbia di ferro. Trovava, all’ufficio delle spedizioni, le tavole già cariche d’involti e di scatole; le ceste ne portavano continuamente; e il Campion, ch’era il capo, gli diceva come andavano le cose, mentre i suoi venti impiegati distribuivano gl’involti negli scaffali, che avevano, ciascuno, il nome d’un quartiere di Parigi; e di lí i garzoni li portavano ai carri posti in fila lungo il marciapiede. Grida, nomi di vie, raccomandazioni, un clamore, un tumulto da piroscafo che stia per salpare. Ed egli rimaneva per un po’ immobile a guardare le merci che si spandevano per la città dopo essere state ingoiate all’altra estremità del sotterraneo: l’enorme corrente finiva là, di là usciva sulla strada dopo aver deposto l’oro in fondo alle casse.

Gli occhi gli si velavano; quelle immense spedizioni non avevano per lui piú alcuna importanza; non gli restava altra idea che quella di un viaggio, l’idea d’andarsene lontano lontano, se lei si ostinasse a dirgli di no.


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