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felici, maritate e sepolte in fondo a una botteguccia di provincia. Era umano, era giusto, quello spaventoso sfruttamento dei dipendenti che i grandi magazzini facevano, anno per anno? E difendeva le ruote della macchina non già con ragioni sentimentali, ma con argomenti tratti dall’interesse medesimo dei padroni. Chi vuole una macchina forte, la fa di buon ferro; se il buon ferro si rompe o lo lasciano rompere, il lavoro si ferma, la forza si sperde, le spese crescono. Qualche volta si accendeva; e vedeva l’immenso bazar ideale, il falanstero del negozio, dove ciascuno avrebbe la sua parte degli utili secondo i meriti propri, con la certezza del l’avvenire regolato da un contratto.

Il Mouret allora, per quanto soffrisse, si metteva a ridere. L’accusava di socialismo, e le chiudeva la bocca mostrandole la difficoltà della pratica: perché essa parlava con la semplicità dell’anima sua, e se ne rimetteva bravamente all’avvenire ogni volta che s’accorgeva d’uno strappo pericoloso alla sua pratica da cuor buono. Ma intanto egli era scosso e sedotto dalla voce giovanile, fremente ancora dei mali sofferti, tanto convinta quando indicava le riforme che dovevano rinvigorire il magazzino; e la stava a sentire mentre scherzaya. A poco a poco la sorte dei commessi era migliorata; le licenze in massa, sostituite da un sistema di congedi dati nelle stagioni di minor vendita: si stava perfino studiando una cassa di mutuo soccorso la quale avrebbe messi gl’impiegati al sicuro, e avrebbe assicurato loro una pensione a una certa età. Era il germe delle associazioni operaie del secolo ventesimo.

Dionisia, d’altra parte, non si contentava di


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