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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/503

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il paradiso delle signore

ra l’impiantito umido, consunto da generazioni di avventori.

— Lo volete sapere? — continuò a voce piú bassa — ebbene! a volte sento che la colpa vera nella nostra disgrazia l’ho io. Già, la colpa è mia, febbre. Avrei dovuto maritarli subito, senza cese la nostra povera figliuola è lassú strutta dalla dere al mio stupido orgoglio, alla mia cocciutaggine, di non lasciar loro la casa in cattive acque! Ora lei avrebbe quello che ama, e chi sa che la loro giovinezza non avesse fatto il miracolo che non ho saputo fare io... Ma io sono un vecchio pazzo: non ho capito nulla: non credevo che ci si potesse ammalare per queste cose qui... Che giovinotto era quello! una bravura, una onestà, una ingenuità, un ordine in tutto, insomma era mio scolaro in tutto e per tutto!

Rialzava la testa, seguitando a difendere le sue idee nel commesso che lo tradiva. Ma Dionisia non poté starlo a sentire; e commossa a vederlo cosí umile, con gli occhi pregni di lacrime, lui che un tempo regnava da padrone brontolone e assoluto, non si seppe trattenere:

— Non lo scusate, zio, per carità!... Non ha mai voluto bene a Genoveffa; sarebbe scappato prima, se aveste voluto dargliela prima. Glie ne ho parlato anch’io; lo sapeva benissimo che Genoveffa stava male per colpa sua, eppure se n’è andato lo stesso!... Domandatene alla zia.

Senza aprir bocca, la Baudu accennò di sí. Allora il vecchio si fece piú livido, e si sentiva strozzare dal pianto che gli saliva alla gola. Balbettò solo:

— Doveva averlo nel sangue! Il suo babbo, il veterinario, è morto, l’anno scorso, per aver corso troppo la cavallina.


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