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il paradiso delle signore

di coloro ch’erano sull’imperiale, e che s’erano anch’essi alzati per spenzolarsi a vedere il sangula gola stretta da una collera sempre cregue, seguitava a spiegarsi con gesti furibondi e scente:

— Non si riesce a capire come la cosa è andata... Chi me l’ha messo tra i piedi! Pareva in casa sua. Ho urlato, ed ecco lui che mi va sotto le ruote!

Allora un operaio, un imbianchino ch’era accorso col suo pennello da una fabbrica vicina, disse con voce stridula in mezzo a quei discorsi:

— Non t’arrabbiare cosí! L’ho visto io: s’è buttato apposta!... Ha fatto cosí, con la testa innanzi! Eccone un altro che della vita n’aveva abbastanza, a quel che pare!

Altre voci si alzarono: tutti convennero nell’idea d’un suicidio, mentre la guardia faceva il processo verbale. Delle signore, pallide pallide, scendevano leste dall’omnibus portando con sé, senza aver cuore di voltarsi, l’orrore della scossa molle che avevan sentito nel passar sopra al corpo. Dionisia, intanto, s’avvicinò per quella sua compassione attiva che la faceva entrare in tutti i casi: cani schiacciati, cavalli in terra, operai cascati dai tetti. E sul lastrico riconobbe il disgraziato, svenuto, col soprabito tutto fango.

— È il signor Robineau! — esclamò nel suo doloroso stupore.

La guardia si mise subito a interrogarla, ed ella ne disse nome, cognome, professione, indirizzo. Per la bravura del cocchiere, l’omnibus s’era un po’ deviato, e soltanto le gambe del Robineau s’eran trovate sotto le ruote. C’era per altro il pericolo che fossero rotte tutt’e due. Quattro uomini di buona volontà trasportarono


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