Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/535

Da Wikisource.

il paradiso delle signore

ne. Rivedeva la lunga battaglia dei due negozi, rivedeva i funerali di Genoveffa e della zia, aveva sotto gli occhi il Vecchio Elbeuf, vinto e sgozzato dal Paradiso delle signore. E il pensiero che lo zio entrasse di faccia e passeggiasse là in quelle gallerie con la cravatta bianca, le fece sussultare il cuore di compassione e sdegno.

— Via, Dionisia, figliuola mia, è mai possibile? — disse egli soltanto, mentre incrociava le sue povere mani tremanti.

— No, no, zio mio! — esclamò lei con uno slancio di tutta l’anima, giusta e buona. — Sarebbe male... Perdonatemi.

Il Baudu s’era rimesso a passeggiare, e il suo passo scoteva da capo il vuoto sepolcrale della casa. Quando lei se n’andò, continuava a passeggiare e passeggiare, con quel moto ostinato delle grandi disperazioni, che si raggirano su se stesse senza mai uscire dal cerchio atroce.

Dionisia non poté dormire neppure quella notte. Capí che non c’era da far niente; non trovava nessun modo per soccorrere i suoi. Bisognava che assistesse a quell’invincibile opera della vita che vuole la morte per seminare altre vite continuamente. Non combatteva piú, accettava la legge della lotta; ma l’anima sua di donna si empiva di pianto, d’una fraterna compassione all’idea del genere umano condannato a soffrire. Da qualche anno si trovava presa anch’essa tra le ruote della macchina: non aveva sparso anche lei il suo sangue? non era stata illividita, cacciata, strascinata nell’ingiuria? Anche ora qualche volta si spaventava sentendosi scelta dalla logica dei fatti. Perché lei, cosí meschinuccia? perché la sua manina pesava a un tratto, tanto, nel lavoro del mostro? E la forza che spazzava


533