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il paradiso delle signore

li turbava: e le restavano ai fianchi rimettendosi sotto la protezione della loro mammina, per un istintivo risveglio dell’infanzia. Tutti guardavano, sorridendo, quei due pezzi di giovinotti andar dietro a quella giovinetta gracile e seria, Gianni, con tanto di baffi, spaurito, e Beppino sperso nella sua tunica, tutt’e tre biondi a un modo, d’un biondo che faceva dire mentre costoro passavano, ai commessi:

— Sono i suoi fratelli... Sono i suoi fratelli!

Ma, mentre Dionisia cercava una della vendita, accadde un incontro.

Il Mouret e il Bourdoncle entravano nella galleria; ed ecco che la Desforges e la Guibal vennero a passare quando egli si fermava da capo dinanzi alla giovinetta, senza, del resto, dirle una parola. Enrichetta represse un sussulto: guardò il Mouret, guardò Dionisia: anch’essi l’avevan guardata, e fu quella la fine, la fine comune ai drammi del cuore, un’occhiata scambiata tra gli urti d’una folla. Il Mouret s’era già allontanato; Dionisia si perdeva in fondo alla sezione con i suoi fratelli, sempre in cerca d’una ragazza che fosse libera. Allora Enrichetta, che aveva riconosciuta la de Fontenailles con la cifra gialla sulla spalla e il viso grosso e terreo da serva, si sfogò, dicendo con voce tremante alla Guibal:

— Guardate a che ha ridotto quella disgraziata!... Non fa rabbia? Una marchesa! E l’obbliga a seguir come un cane le sgualdrine che trova per la strada!

Cercò di calmarsi, e aggiunse con una finta aria di indifferenza:

— Vieni, andiamo un po’ a vedere l’esposizione delle sete!


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