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il paradiso delle signore |
un’aria di disprezzo per quel suo aspetto povero; poi volgendosi a una delle compagne, piccola, con certe carnacce bianche e un viso insieme d’innocente e di annoiata, domandò:
— Signorina Margherita, sapete dove sia la signora Aurelia?
L’interpellata metteva in ordine dei mantelli secondo la lunghezza, e non si degnò nemmeno di alzare la testa.
— No, signorina Clara, non lo so — rispose a fior di labbro.
Poi tutti zitti. Dionisia stava lí ferma, e nessuno si occupava di lei. Aspettò un momento, e poi osò muovere un’altra domanda:
— Credono che la signora Aurelia starà molto a tornare?
Allora quella che ne faceva le veci, una donna magra e brutta, di cui ancora non s’era accorta, una vedova con le mascelle sporgenti e i capelli duri, le gridò da un armadio dove riscontrava i cartellini:
— Se volete parlare proprio alla signora Aurelia, bisogna che aspettiate.
E volgendosi a un’altra, aggiunse:
— Non è nel sotterraneo?
— No, signora, non credo — rispose la ragazza. — Non ha detto nulla; non può essere lontana.
Dionisia, rassegnata, rimase ritta; c’erano delle seggiole per le clienti, ma nessuno le diceva di sedersi, ed ella non osò prenderne una, per quanto fosse tanto turbata da durar fatica a reggersi in piedi. Quelle ragazze, si vedeva bene, avevan subito fiutata in lei una che chiedeva lavoro, e la sbirciavano con la coda dell’occhio, senza benevolenza, con la sorda inimicizia di
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