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presso l’ascella, ridendo all’altra Nana, che anch’essa biaciavasi nello specchio.

Allora Muffat ebbe un sospiro cupo e prolungato. Quel piacere solitario lo inaspriva. Bruscamente, tutto in lui fu travolto, come da un turbine. Afferrò Nana attraverso il corpo, in uno slancio di brutalità, e la gettò sul tappeto.

— Lasciami, gridò lei, mi fa male!

Egli aveva coscienza della sua disfatta, la sapeva stupida, laida e bugiarda, e la voleva quantunque appestata.

— Oh! la è stupida! diss’ella furente, quand’egli le permise di rialzarsi.

Però, ella si calmò. Adesso, ei se ne andrebbe. Dopo aver messa una camicia da notte guarnita di trine, venne a sedersi per terra, davanti al fuoco.

Era il suo posto favorito.

Siccome ella lo interrogava di nuovo intorno alla cronaca di Fauchery, Muffat rispose vagamente, desideroso di evitare una scena.

D’altronde, essa dichiarò che si infischiava di Fauchery; poi, cadde in un lungo silenzio, riflettendo al modo di mandar via il conte. Avrebbe voluto farlo in modo cortese, poiché era, dopo tutto, bonaria, e le dava noia il far pena ad altrui; tanto più che costui era cornuto, idea che aveva finito coll’intenerirla.

— Allora, diss’ella finalmente, gli è domattina che aspetti tua moglie?

Muffat s’era sdraiato sul seggiolone, l’aria assopita, le membra stanche. Disse di sì, con un cenno.

Nana lo riguardava, seria, con una sorda preoccupazione.

Seduta sopra una delle coscie, nel leggiero viluppo delle sue trine, teneva fra mano uno de’ suoi piedi nudi, e, macchinalmente, lo volgeva e lo rivolgeva.

— È molto tempo che sei ammogliato? domandò lei.

— Diciannove anni, rispose il conte.

— Ah!... E tua moglie, è dessa amabile? Vivete bene insieme?

Egli si tacque. Poi, con fare impacciato:

— Sai che ti ho pregata di non mai parlarmi di queste cose.