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Sul lastricato, una vettura poco mancò non lo schiacciasse.

Delle donne, uscendo da un caffè, lo rasentavano ridendo. Allora, ripreso dalle lagrime, malgrado i suoi sforzi, non volendo singhiozzare in faccia alla gente, si gettò in una via oscura e deserta, la via Rossini, dove, lungo le case silenziose, pianse come un fanciullo.

— Tutto è finito, diceva con voce rotta. Non c’è più nulla, non c’è più nulla!

Piangeva così dirottamente, che s’appoggiò col dorso ad una porta, il viso nelle mani molli di pianto. Un rumore di passi lo cacciò di là.

Provava una vergogna, una paura, che lo metteva in fuga dinanzi alla gente, col passo inquieto d’un vagabondo notturno.

Quando si scontrava con qualcuno sul marciapiede, pro curava di prendere un’andatura disinvolta, immaginandosi che si dovesse leggere la sua storia nell’ondeggiare delle sue spalle.

Aveva percorso la via Grange-Batèliere fino alla via del sobborgo Montmartre. La luce delle lampade lo colpì, tornò addietro. Durante un’ora, quasi, percorse così il quartiere, scegliendo i buchi più bui.

Aveva, senza dubbio, una meta a cui i suoi piedi si dirigevano da sè stessi, pazientemente, per una via incessantemente complicata da giri e risvolte.

Finalmente, all’angolo d’una via, alzò gli occhi; era giunto.

Era l’angolo della via Taitbout e della via di Provence. Nel doloroso rintronare del suo cervello, aveva impiegato un’ora per giungere in quel luogo, quando avrebbe potuto esservi in cinque minuti i

Rammentava esser salito una mattina, il mese scorso, da Fauchery, per ringraziarlo d’un articolo sopra un ballo dato alle Tuileries, in cui il giornalista l’aveva nominato..

L’appartamento trovavasi nell’ammezzato, con piccole fi nestre, quadrate, nascoste a mezzo, dietro l’insegna colossale d’una bottega. A sinistra, l’ultima finestra, era attraversata da una stri-


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