Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1000

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[p. 329 modifica] linguam significari. Romae tunc et in omni fere Romano imperio vulgatissimam, Seldenus ad Eutychium observavit. E, p. 131, nota (d), § 3, parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum, che dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana, dice che furono o ingannati o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam quandoque intelligi observavit Seldenus. Intendi l’opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesiae suae Origines ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario auxit Joannes Seldenus. Per lo contrario Giuseppe Ebreo, nel proemio dell’Archeol., § 2, principio e fine, chiama greci tutti coloro che non erano giudei, o sia gli etnici, compresi per conseguenza anche i romani. E cosí nella scrittura Ἕλληνες passim opponuntur Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo alieni (Scapula). Cosí ne’ Padri antichi. Il che pure ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo, avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in greco. Vedi anche il Forcellini, voce Graecus, in fine.

Osservo ancora che Giuseppe Ebreo, avendo scritto [p. 330 modifica]primieramente i suoi libri della guerra giudaica nella lingua sua patria (qualunque fosse questa lingua, o l’ebraica, come crede l’Ittigio, (nel Giosef. dell’Havercamp, t. II, appendice, p. 80, colonna 2) o la sirocaldaica, come altri (Vedi Basnagius, Exercit. ad Baron., pag. 388, Fabricius, III, 230, not. (p.)), in uso, com’egli dice, de’ barbari dell’Asia superiore, cioè, com’egli stesso spiega (De bello Iud., Proem., art. 2, edit. Haverc., t. II, p. 48). de’ parti, de’ babilonesi, degli arabi piú lontani dal mare, de’ giudei di là dall’Eufrate e degli adiabeni (Fabricius, l. c., Gioseffo, l. c., pag. 47. not. (h)), volendo poi, com’egli dice, accomodarla all’uso de’ sudditi dell’imperio