Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/936

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[p. 279 modifica] parole, e in alcune parole, frasi, maniere, intieramente sue proprie e particolari. Questo si vede nelle città di Toscana (tanto che il Varchi vuole perciò che la lingua scritta italiana, non solo non si chiami italiana, ma neppur toscana, bensí fiorentina); si vede nelle altre città di qualunque provincia italiana, e dappertutto. Di piú, in ciascuna città il linguaggio cittadinesco è diverso dal campestre. Di piú, senza uscire dalla città medesima, è noto che nella stessa Firenze si parla piú di un dialetto, secondo la diversità delle contrade: (e di ciò pure il Varchi); cosí che una lingua non arriva ad essere strettamente conforme e comune neppure ad una stessa città, s’ella è piú che tanto estesa e popolata. E cosí credo che avverrà pure in Parigi ec. Vedi p. 1301, fine.


     Da questi dati caviamo alcune conseguenze piú alte ed importanti. 1°, Che la diversità de’ linguaggi è naturale e inevitabile fra gli uomini e che la propagazione del genere umano portò con se la moltiplicità delle lingue e la divisione e suddivisione dell’idioma primitivo e finalmente il non potersi intendere, né per conseguenza comunicare scambievolmente piú che tanto numero di uomini. La confusione de’ linguaggi, che dice la Scrittura essere stato un gastigo [p. 280 modifica]dato da Dio agli uomini è dunque effettivamente radicata nella natura e inevitabile nella generazione umana e fatta proprietà essenziale delle nazioni ec.

     2°, Che il progetto di una lingua universale (seppure per questa s’è mai voluta intendere una lingua propria e nativa e materna e quotidiana di tutte le nazioni) è una chimera, non solo materialmente e relativamente e per le circostanze e le difficoltà che risultano dalle cose quali ora sono,