Pensieri e discorsi/Una festa italica/VI - Virgilio e Dante

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VI.



Al limite di quella selva selvaggia si era presentato all’uomo un altro che uomo era stato: un’ombra che veniva dall’oltremondo. Virgilio si mostrò a Dante. Un lungo silenzio lo aveva occupato. Continuarono bensì a vivere, propagandosi l’uno dall’altro, i lunghi pioppi cipressini della sua verde pianura. Un d’essi era stato piantato nel suo dì natale, e s’era slanciato su tutti gli altri: ma da gran tempo le incinte e le puerpere non facevano e scioglievano i voti all’albero di Virgilio1. Virgilio era letto e [p. 334 modifica]imitato, ripetuto e guastato: come se da un albero non si tagliassero i rami se non per arderli, invece di consegnarne qualcuno alla terra si che rigermogliasse in nuova pianta. Dante vedeva che Virgilio era un grande poeta in quanto nascondeva sotto veste di figura un verace intendimento. Noi pure non assentendo ad altri e a Dante in tutto, riconosciamo per certo che Virgilio non scrisse ecloghe e poemi per il gusto di scriverli e di farsene onore presso Pollione, e Varo e Gallo e Mecenate e Augusto; e nemmeno che l’amor della vita pastorale o quello dell’agricoltura lo ispirò, senz’altro, a cantare gli amori e i diverbi dei pastori e le fatiche dei contadini; e nemmeno che la glorificazione della gente Giulia e dell’erede Augusto fu il fine della sua Eneide. Certo, in tutte e tre le opere del nostro Poeta suona alto, sulle avene boschereccie, sui rustici carmi, sulle buccine di guerra, l’abbominio della discordia civile e l’invito alla pace. Nessun poeta moderno ha cantato più persuasivamente di lui la dignità e la santità del lavoro. Egli è il Poeta dell’oggi: che dico? Egli canta ciò che ancora non è; egli canta, se veramente egli è, come fu creduto, profeta, canta ciò che sarà. Per Dante, Virgilio non solo fu il profeta inconsapevole del Cristo, ma il suo proprio, il profeta di Dante — perciò, dell’Italia — . A Dante parve che il Poeta di Mantova avesse, in certo modo, rappresentato nel suo Enea profugo, in cerca di patria e di pace e di gloria, l’esule Dante che cercava appunto la gloria e la pace e la patria. L’incendio di Troia, l’errare per ogni mare, le guerre che ancora aspettavano l’eroe nel luogo assegnatogli dal fato, raffiguravano, così, l’anarchia medioevale [p. 335 modifica]in quel tragico momento in cui si spengeva l’impero senza lasciare la libertà; chè i comuni si preparavano già a piegare sotto le signorie. L'imperium sine fine vaticinato in quei tempi doveva pure adempiersi nei tempi nuovi! Allora Virgilio parlava latino: era nato sub Iulio. Ora avrebbe parlato lombardo. Con le prime parole l’Ombra si annunzia come figlio di parenti lombardi, ambo e due di Mantova: di Mantova la città edificata sopra l’ossa morte d’una indovina. Così il profugo nuovo uscito dall’onda perigliosa d’un pelago, come l’antico, e che, come l’antico, è aspettato da più gravi pericoli nella terra, segue, come l’antico, un profeta nell’oltremondo, per riportarne l’annunzio della grande concordia umana. E se l’annunzio di tale universale beatitudine è riuscito vano, sappiamo però e riconosciamo e significhiamo che Dante, seguendo Virgilio, sulla caotica accozzaglia di popoli varii venuti dal mare e dal monte a soprapporsi ai vari popoli che prima erano tra l’Alpi e il mare, pronunziò la parola per cui l’Italia fu, è, sarà.

Note

  1. Nella Vita scritta da Donato si legge: “Un piantone di pioppo, secondo il costume del paese nelle nascite piantato subito sul luogo, si fece in poco tempo così grande, che agguagliò i pioppi piantati molto prima, e si chiamò l’albero di Virgilio e fu consacrato dalla somma devozione che ne avevano le donne gravide e sgravate, che ivi facevano e scioglievano loro voti„.

    Quanti alberi di Virgilio lungo il Mincio e il Po, e per tutta la campagna! E ognuno, quel giorno sereno di maggio, aveva il suo usignolo che cantava. Era giorno di festa: tutti gli usignoli cantavano. Cantavano più che altrove ad Andes. Ricordate, o buoni amici, Scalori, Urangia-Tazzoli, Cottafavi, Finzi, Zilocchi, Cisterni, Chiggiato, Massari, Gorini, Bertolini? Mio buon maestro e collega Bertolini, ti ricordi che te ne mostrai qualcuno, che gonfiava la mirabile gola canora, proprio sui pioppi? E noi con quel severo animoso Gorini, soggiungevamo i versi di Virgilio:

    Qualis populea maerens philomela sub umbra.