Piccola morale/Parte quarta/XI. Gli astratti e i distratti

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Parte quarta - XI. Gli astratti e i distratti.

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XI.

GLI ASTRATTI E I DISTRATTI.

Parlando di quella specie d’uomini che si chiamano astratti, debbo farne il panigirico o la censura? Panigirico degli astratti? Perchè no, vi domando? Non è questo il difetto di cui si accusano comunemente le novantanove fra cento delle persone dotate di straordinaria facoltà d’intelletto? E quando parli ad uno, ed egli, in luogo di darti retta, guarda in alto, o, mentre parli delle fertilità dell’annata, ti risponde canterellando una strofetta del Metastasio, non entri subito in sospetto che in esso si nasconda un qualche gran fatto, re Salomone o poco meno? Da molti antichi filosofi non fu egli detto consistere il sommo della sapienza in ciò solo, di torsi il più ch’è possibile al dominio de’ sensi, per tutto trasferirsi coll’anima nel regno senzaÉ [p. 261 modifica]confini della speculazione intellettuale? Ora non è egli questo ciò che fanno presso a poco gli astratti, i quali non bene si accorgono di camminare, se un qualche ciottolo fuor di misura non viene loro tra’ piedi; non bene si avveggono della pioggia che cade, se prima non ne hanno inzuppato il tabarro assai malamente?

Egli è però da vedere primieramente quali siano veri astratti, e quali, come di molte altre umane infermità, si giovino anche di questa ai proprii disegni. Perché dovrebbe esser conosciuto a ciascuno, il quale abbia fatto una qualche esperienza del mondo, che c’è anche un’osientazione del vizio, alcuna volta per guadagnarsi la riputazione, che da molti si concede al solo vizio, o per sottrarsi alla guerra della maliguità, che non cessa di punzecchiare la virtù a tutte l’ore, e alcun’altra volta perchè un vizio di minor rilievo sia sopravvesta che occulti magagne di maggior conto. In quanti casi all’astratto non si perdonarono certe bugie da meritare l’infamia a chi le avesse proferite colla mente raccolta nel soggetto? E certe sciocchezze che non avrebbero più lasciato a chi le pronunziava levar il capo nella compagnia delle persone, che, buono o cattivo, si piccano pure di possedere un cervello e di farne uso discorrendo, non si ebbero per arguzie, soltanto perchè profferite come in aria di assorto e coll’animo rivolto in tal parte, ove non sono soliti arrivare i pensieri [p. 262 modifica]degli uomini comunemente? In generale, dacché, giusta o falsa che sia, corre voce che chi ha pronto e ricco l’ingegno sia per lo più astratto, non basta una tal opinione ad invogliare certi meschini cervelli, i quali, non che astratti, pure di essere creduti uomini di qualche garbo, torrebbero di parere ogni più brutta cosa?

Oltre a ciò, sarebbe da fare una grandissima distinzione fra astratti e distratti, parole che per lo più sono assai facilmente usurpate a significare una in cambio dell’altra la medesima idea. Ma questa distinzione ci metterebbe in certe sottilità dalle quali abborre l’indole del nostro scritto. Possiamo ben dir così alla buona, e tanto che un qualche limite sia segnato al senso proprio di ciascuno di que’ due vocaboli, che per astratto si abbia ad intendere chi ha la mente fortemente compresa da un qualche soggetto, e in quello siffattamente è perduto, da rimanersi inabile ad attendere a qualsisia altro soggetto; distratto all’incontro essere colui nei pensieri del quale c’è tanto voto e tanta mobilità da non potervi per nulla l’attenzione. Di che ben si vede che gli uomini d’ingegno possono essere chiamati convenientemente astratti, e non con eguale convenienza distratti si vede ancora che può avervi un ritorno dail’astrazione per essere cosa accidentale, laddove la distrazione, procedendo da naturale imperfezione, è difficilissima ad essere menomata, forse impossibile ad esser tolta. [p. 263 modifica]Siccome però gli uomini d’ingegno sogliono frequentemente immergersi in quelle meditazioni che gli fanno parere astratti, così spesse volte accade che l’astrazione diventi in essi abituale, quasi per viziata natura; ma nemmeno in questo caso l’astrazione vuole confondersi con la distrazione, benchè ne assuma tutti gli aspetti.

La differenza che abbiamo accennata fra astratti e distratti, potrebbe essere resa più pianamente sensibile nello scambio delle parole, chiamando gli astratti preoccupati, e i distratti disoccupati. In generale quest’allontanamento che molto spesso veggiamo nelle persone dal discorso che loro vien fatto, o dagli oggetti che stanno loro sott’occhi, può derivare tanto da eccesso che da difetto, tanto da vacuità che da sovrabbondanza di pensieri. Anche in questo, come in moltissimi altri casi, può esser detto con molta ragione, quel tale mi ha l’aria di essere o il gran bell’ingegno, o il gran balordo. E molte volte riferendo il discorso a quel tale discorso, o a quel tale oggetto, che in grazia dell’astrazione non è percepito, può dirsi assai giustamente: il gran balordo ch’egli è quel bell’ingegno!

Dopo aver chiacchierato sopra gli astratti e i distratti, riduciamo a qualche utile conchiusione le nostre chiacchiere. Non ci ha dubbio che astratti e distratti, quand’anche in qualche momento o per qualche ragione particolare possano divertire (e chi è quegli che in qualche momen[p. 264 modifica]to non diverta?) in generale tornano disgustosi spesso ancora intollerabili a chi gli ascolta, o ha che fare con essi. È dunque da vedere se ci sia rimedio alcuno a togliere affatto, o a rendere meno nocente una tale infermità. Qui dobbiamo tosto ricorrere alla distinzione da noi posta fra astratti e distratti. Siccome, per quanto abbiamo detto poc’anzi, gli astratti sono tutti con l’animo tutto in un dato pensiero, quando vogliano non essere incomodi alle persone, badino a tenere i loro discorsi, e le loro azioni entro i confini prescritti da quel pensiero che li possiede. Con questa avvertenza il difetto stesso tornerà in loro vantaggio, dacchè parlando il faranno più acconciamente di quello potessero altri, e ciò in grazia del lor aggirarsi continuamente entro quella loro periferia. Non che questa sia semplice avvertenza, è da reputarsi obbligo espresso ingiunto a chiunque non voglia incorrere nella taccia giustissima d’uomo che voglia farsi grave al suo prossimo colle proprie fantasticherie. Chi ha l’animo o la mente preoccupata da’ suoi studii, da’ suoi traffichi, dalle sue galanterie, perche ne viene in mezzo alla gente, se da quei studii, da que’ traffichi, da quelle galanterie gli è tolta abilità di badare, di partecipare a ciò che si fa o che si dice fra la gente? Oh! egli ci viene per divertirsi. E che diritto ha egli di divertirsi seccando il prossimo? O forse quando volesse adoperare con un po’ di discrezione, gli [p. 265 modifica]mancherebbe via di appaiarsi a chi concorre nelle sue idee, ne’ suoi desiderii? Tutto questo s’intende detto per discorrere sui generali, avendovi certe circostanze, per certi individui, che troppo bene giustificano la violazione della regola universale. In questi casi non sappiamo suggerire a questi infelici, pei quali è necessità il farsi favola delle persone, fuorchè studiarsi a recitare il men male che possano la loro parte, acconciandosi preventivamente ai benigni commenti che saranno apposti alle loro astrazioni.

E i distratti? Non conoscendo per essi rimedio alcuno, ci raccomandiamo alla misericordia de’ loro fratelli. Quando volessero anche rimediare alla propria infermità, forse che non potrebbero. E voi, che gli dovete soffrire, pensate che da que’ distratti avrete assai meno a guardarvi, di quello vi convenga fare da certuni, la cui memoria è un libro di ricordi scritto a caratteri incancellabili.