Piccola morale/Parte quarta/XIII. Gli amici

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Parte quarta - XIII. Gli amici.

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XIII.

GLI AMICI.

Le due condizioni che la ragione e l’esperienza insegnano essere richieste in chi vuole strignersi d’amicizia, cioè l’onestà e la uguaglianza, escludono la moltiplicità degli amici. Molto acutamente un celebre autore del secolo scorso [p. 271 modifica]scriveva non potersi chiamare amici que’ de’ malvagi, ma loro complici; similmente i voluttuosi non altro avere che compagni negli stravizzi; i trafficanti degli associati alle loro speculazioni; e via discorrendo. La moltitudine degli amici è fatta per chi non si vergogni di confessare da senno ciò che Chamfort protestava scherzando: ho amici che mi amano, amici cui sono indif ferente del tutto, amici finalmente che mi detestano. Quando si considerasse l’abuso grandissimo che si fa da tutti di questo sacro vocabolo, bisognerebbe credere che tutti dal più al meno fossero nelle condizioni di Chamfort. A cominciare infatti dal collegio, e via via distendendoci fino all’ultimo termine della vita, audiamo tutti rammassando amicizie, con quel buon giudizio stesso con cui il ragazzino insacca sassolini e conchiglie sulla riva del mare; quando ne ha piena la tasca, si è procacciato peso ed ingombro, non altro.

Essendo l’amicizia un tesoro, che follia non è quella di pensare che se ne possa far acquisto con poca o con nessuna cura? L’amicizia è una merce particolare che domanda una particolare moneta ad essere convenientemente acquistata. Voglionsi atti virtuosi che si guadagnino l’altrui stima, e dimostrazioni di benevolenza che attirino consimili sentimenti. Ora, è malagevole il guadagnarsi la stima di tutti, o almeno ottenere da tutti quel tanto grado di stima che è neces[p. 272 modifica]sario per solido fondamento dell’amicizia. I giudizii umani, anche nelle menti meglio ordinate, hanno fra loro molta disformità, o se non altro molta ineguaglianza. La benevolenza poi, come notava fino da’ suoi tempi Plutarco, a somiglianza delle acque de’ fiumi, che divise in più canali e ruscelli si fanno basse e lente, col partirsi soverchiamente si debilita e svanisce. Che bella giustificazione, continua l’anzidetto filosofo, può essere per chi ha trascurato in qualche occasione un amico, allegare la diligenza e l’assiduità che dovette usare ad un altro? Nelle affezioni a strignere le quali ebbe luogo la scelta, discolpe di tal fatta aggravano la reità anzichè alleggerirla.

Anche l’uguaglianza, che significa corrispondenza degli animi meglio ancora che del resto, domanda tempo, ed allontana la possibilità della moltitudine degli amici. Dei metalli pregiati, e delle monete che se ne formano, si fa il saggio a provarne il valore; similmente vuolsi operare cogli amici, se no, a chi gli ha pigliati senza farne la prova interviene come a colui che si trova possessore di monete false, il quale, oltre al non avere presso di sè capitale veruno, sta nel rischio di essere giudicato complice dell’alterazione della lega. L’antico proverbio di non legare amicizia senza aver prima mangiato in compagnia il moggio del sale, assai bellamente dimostra la lentezza con cui è da procedere in siffatta scelta. [p. 273 modifica]Tanto è ciò vero che da quelli i quali si proferiscono con troppa spontaneità, e mostrano voler abbreviare con soverchia e intempestiva espansione il tempo e l’opera degli esami, è da guardarsene, ed usar con essi come col pruno e col rovo, che si appiccano addosso a chi passa appunto perchè male piante, laddove l’ulivo e la vite aspettano che altri stenda la mano a cogliere le dolci frutta da loro portate. Rarissimi sono i casi in cui possa bastare, trattandosi di amicizia, il poter dire ciò che Montaigne dell’amico suo La Boetie: se mi si astrigne a dichiarare perche lo amassi, mi sento obbligato a rispondere che non per altro se non ch’egli era egli, cd io io. Questa dichiarazione deve bensi farsi da ognuno che voglia essere sincero nell’allegare i motivi per cui scelse ad amico piuttosto una che altra persona, ma non deve essere il solo motivo. Considerando Montaigne e La Boetie, vengono facilmente al pensiero quelle ragioni che l’ingegnoso scrittore, per dar più forza all’argomento della simpatia, mostrava di non saper addurre. Dipingo in lungo tempo, rispondeva Zeusi a’ suoi critici che lo accusavano di tardità, perchè dipingo per lungo tempo; e con eguale giustezza fu scritto: il mezzo di procacciarsi amici che durino molto tempo esser quello di procacciarseli in molto tempo.

Quanto si è fin qui detto riguarda più che altro il modo della scelta; argomento non meno [p. 274 modifica]importante si è il modo più proprio a conservare gli amici. La durata è la dimostrazione della convenienza delle amicizie: l’amicizia, disse taluno, è come i titoli gentilizii, tanto più preziosi quanto di più antica data. Nota Plutarco, che siccome il cibo nocivo e noioso allo stomaco non può ritenersi senza che t’anuoi e generi corruzione, così il malvagio amico stando teco t’infastidisce o rimane infastidito. Questa immagine può trasferirsi eziandio a significare il malo effetto della soverchia sollecitudine nelle amicizie. A tempo mostrarsi, ritrarsi a tempo; compartire l’ombra e la luce, il gelo e il calore, per gradi e secondo bisogno, è il secreto di continuare con piacevolezza scambievole nelle amicizie. Per altra parte notabile è quell’altra sentenza, tuttoche espressa con immagine un po’ artifiziosa: non doversi lasciar crescere l’erba sul cammino dell’amicizia. E questo non è che un poco del molto che si potrebbe dire intorno ai reciproci ufficii pei quali le amicizie si conservano, e si vengono sempre più rassodando.

Domanda, per ultimo, seria considerazione anche il modo del rompere le amicizie, quando alcuno si trovi a questa infelice necessità. Tolti alcuni casi straordinarii, è bene che si ricordi il consiglio di Cicerone: doversi, anzichè spensieratamente stracciare, diligentemente scucire le amicizie.