Poesie (Ragazzoni)/Parte quinta/II. I Vincitori

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Parte quinta - II. I Vincitori

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Parte quinta - I. I Vinti


La mezzanotte è scoccata e siamo ai primi minuti del 28 aprile 1796. Nella grande sala del palazzo Salmatoris da oltre un’ora si dibattono intorno al tavolo le sorti del Piemonte. La luce dei doppieri rischiara cinque figure pensose ed inquiete: quella pallidissima accigliata di Bonaparte; la fisonomia secca ed ostinata del generale La Tour; il nobile, leale aspetto di Costa di Beauregard; la tozza persona di Berthier, e quella aitante di Murat, tutta sfolgorante di baldanza militare e di audacia. Due aggiunti aiutanti del quartiere generale francese, Ballet e Vedel, ritirati nel vano di una finestra, stanno in attesa di ordini. Il segretario particolare del generale Bonaparte, Arnoult, è occupato, ad un tavolo a parte, a copiare alcuni documenti. Il fuoco divampa nell’alto camino. Fuori, la notte è buia, tempestosa, freddissima. I vetri tremano sotto gli scrosci impetuosi della pioggia. Il vento sibila lungo le grondaie... E intorno al tavolo romba, nelle parole, un’altra tempesta.

Nelle camere attigue, dove dalle porte chiuse non giunge eco alcuna del dramma politico che si svolge tra il generale Bonaparte ed i due delegati del re di Sardegna, - La Tour e Costa di Beauregard, - bivaccano una ventina di generali di divisione, di comandanti di corpo, di ufficiali superiori dello stato maggiore; Massena, secco, magro, vigoroso, le labbra sottili, l’occhio investigatore, il sorriso sarcastico; Serrurier, lento, massiccio, compassato, una guancia solcata dal largo sberleffo di una sciabolata; Angereau, alto, marziale, irrequieto, presuntuoso, fisonomia d’uccello da preda, modi da monello e da spadaccino; Le Harpe, figura severa di gentiluomo montanaro, fronte pensosa e risoluta; Killmaine, gigantesco, biondo, gli occhi cavi, il volto emaciato; - poi: Chasseloup, comandante del genio; Maubert, comandante dell’artiglieria; Beaumont, comandante della seconda divisione di cavalleria; Lannes, da pochi giorni comandante dei battaglioni di granatieri; - poi, ancora: i comandanti Garnier, Maquard, Marmont; gli addetti al quartier generale Dufresne e Franceschi, ecc. Tutti sono in divisa, in tenuta di campagna. Il solo personaggio in abito borghese è Francesco Cacault, agente della Repubblica francese, inviato dal Direttorio e giunto la notte istessa. Mentre gli altri, divisi in varii gruppi, fumano, bevono, discutono, Cacault si intrattiene famigliarmente in disparte col generale Angereau, il quale lascia sprizzare nelle sue parole tutta la sua indiavolata vivacità di ragazzaccio parigino.


Angereau
- ... Cento quindici ore!
Cacault
- Rettifico: cento dodici solamente.
Angereau
- Mettiamo anche cento dodici! Cento dodici ore d’un fiato da Parigi a Cherasco è una bella tirata. E per qual bel proposito? Per venirci a spiare in nome di quei ciarloni del Direttorio! Tante grazie! Intanto sappiate, caro Cacault, che abbiamo pensato già noi ad inviare al Direttorio nostre notizie. L’altro ieri, Junot e Giuseppe Bonaparte sono partiti per Parigi con ventun bandiere tolte al nemico... E poi, il sipario sta per calare sul primo atto... Di là (fa un cenno verso la sala dove si tiene la conferenza) Bonaparte sta terminando il suo giuoco di bussolotti. Signori e signore, vedete voi queste tre fortezze? Si chiamano Ceva, Cuneo, Tortona... Marcia, passa, sparisci!... Le fortezze che erano in tasca del re di Sardegna si trovano in quelle della Repubblica una ed indivisibile, con tutta l’artiglieria e i magazzini... In compenso di questo nostro giochetto, brava gente del re di Sardegna, ci accontenteremo di poco... Ci permetterete di girare come più ci piacerà sulle vostre strade militari, in modo che la madre patria comunichi con noi senza passare per vie fuori di mano e noi colla madre patria senza seccature di nessuna maniera; ci rimetterete Valenza, così possiamo correre dietro a Beaulieu al di là del Po senza aver la noia di guardarci dietro alle spalle, ed infine manderete a casa od in villeggiatura i vostri soldati, il tutto spolverato con qualche milioncino di contribuzioni!... I signori del Direttorio arricceranno probabilmente il naso che noi facciamo un po’ di politica senza il loro permesso e non ci accontentiamo di essere semplicemente e puramente soldati... ma i vincitori siamo noi e bisogna pure che ci si conceda qualche spasso... Ad ogni modo, se la vedano con quella canaglia di Bonaparte...
Cacault
- ... Canaglia?
Angereau
- ... E famosa!
Cacault
- ... Pare però che nell’arte di condurre una battaglia questa vostra canaglia famosa abbia già mostrato qualche esperienza...
Angereau
- ... Ma sopratutto l’abilità di far valere la vittoria... che spesso gli altri gli hanno procurato a rischio della loro pelle come è accaduto a quel povero diavolo di Stengel che si è fatto bestialmente massacrare sotto Mondovì e che agonizza da sette giorni a Carassona se pure a quest’ora non è già morto. Sapete che cosa ha detto Stengel quando lo hanno portato via dal campo di battaglia? «Quel miserabile piccolo côrso ha voluto farmi ammazzare e c’è riuscito». Ora, a voi giudicare!... Bonaparte!... Oh!... è uno di quelli che la coperta se la vuole tutta per sé, e se gli altri crepano di freddo, tanto peggio! Avete mai avuto a che fare con lui?
Cacault
- ... Mai.
Angereau
- Bene, me ne direte poi le vostre impressioni...
Cacault
(ridendo) - Incute dunque tanto timore?...
Angereau
- Ma no!
Cacault
- ... Sa imporre tanto rispetto?
Angereau
- ... Che so io?... Io non sono certo un’educanda, non è vero? Ma alle volte, quando sono con lui, sotto quei suoi due occhi che pare tirino pistolettate quando guardano, sento...
Cacault
- Che diavolo, Angereau! (stupefatto). Mi dareste voi la strabiliante notizia che siete diventato timido? Meno che mai lamento le mie cento dodici ore di viaggio da Parigi a qui!
Angereau
- ... Burlatevi di me fin che vi piace!...
Cacault
- ... E sentite dunque?...
Angereau
- ... Né timore, né rispetto, né soggezione..., solo un senso d’inquietudine strana..., il bisogno di andarmene..., di essere liberato al più presto possibile della sua presenza.
Cacault
- Così, il generale Bonaparte non sa farsi amare...
Angereau
- Sa farsi obbedire.
Cacault
- E i soldati?
Angereau
- Ne sono infatuati, i soldati! Egli li ubbriaca di chiacchiere e di paroloni, promette loro il paradiso terrestre in questa vita ed i campi elisi degli eroi nell’altra, li chiama i suoi amici, li proclama i figli prediletti e benemeriti della Repubblica, li strega di occhiate... ed essi se ne vanno allegramente a farsi accoppare...
Cacault
- ... E gli altri generali? ... Berthier?
Angereau
- Si rosicchia le unghie...
Cacault
(ridendo) - Ed oltre... questa occupazione?
Angereau
- Sta a cavallo tutto il giorno, ed al tavolo da lavoro tutta la notte... È il primo factotum di Bonaparte...; e Bonaparte ne usa ed abusa senza alcuna misericordia. Del resto, è quello che fa con tutti noi!... Da ieri sera, per esempio, egli ci ha voluti in piedi, a sua disposizione, pronti agli ordini... Quanto a sé, non si è negato un buon sonnellino ristoratore di qualche ora... E non ha mancato di farsi apprestare il suo bagno! Insomma quando i delegati del re di Sardegna giunsero qui poco dopo le dieci e poco prima di voi dovettero aspettare quasi fin verso le undici che egli avesse finito di svegliarsi e di fare i suoi comodi... Sembrava fossero entrati nel palazzo della Bella dormente.

(A questo punto, una delle porte che mettono nella sala ove i rappresentanti francesi e piemontesi tengono consiglio, si apre. Sulla soglia appare l’aiutante Vedel. Tutti gli sguardi si rivolgono verso di lui pieni di interrogazioni).


* * *


Voci
- Ebbene?... L’armistizio è concluso? - Si ricomincia? - Ci sono ordini d’attacco per stamattina? - Si va a Torino?
Vedel
(facendo colla mano un gesto di silenzio) - Il generale Bonaparte chiede che si mandi a cercare del caffè immediatamente...
Angereau
(scherzando) - Fate dunque veglia di famiglia, là dentro... Vi ci vuole del caffè?
Vedel
- Giù in basso ci sono dei soldati d’ordinanza... Provvedano del caffè... Se non ne trovano più qui, corrano in città, sveglino qualche droghiere...
Massena
- Ed è Bonaparte che è stato preso da questa furia di caffè?
Vedel
- Bonaparte..., ma in seguito ad un desiderio manifestato dal generale La Tour...
Angereau
(a Cacault) - ... La Tour è il più anziano dei due delegati piemontesi... Se Bonaparte viene alle cortesie è segno che La Tour è preso nel suo gioco... o sul punto di lasciarsi prendere.
Vedel
- ... La Tour, che sembra molto affaticato, ha detto che avrebbe molto volentieri bevuta una tazza di caffè... Bonaparte si è subito alzato, è andato al divano dove aveva gettata la sua spada, la sua sciarpa, il suo cappello, e ha tratto da uno stipo da viaggio che si trovava anche scaraventato là, due chicchere...
Una voce
- Ma poi, non c’era il caffè!
Vedel
- Non c’era il caffè... e Bonaparte ha ordinato di mettere anche a soqquadro tutta Cherasco pur di trovarne...

(Nei corridoi, lungo le scale, per gli atrii, per tutto il palazzo da capo a fondo già si ripete che il generale Bonaparte ha dato gli ordini che si provveda del caffè e si va e si corre come se si obbedisse ad un ordine di battaglia. In tutto il palazzo non c’è più un chicco. Una pattuglia si sbanda per le strade. Un quarto d’ora dopo il caffè è trovato. Nella sala dei generali, frattanto, si assedia l’aiutante Vedel perché dica qualcosa sulle vicende delle trattative).

Vedel
- Se si va avanti così, e se Bonaparte non trova il mezzo di tagliar corto alle discussioni si verrà a domattina che non si sarà concluso nulla.
Killmaine
(steso su una poltrona cogli stivali allungati verso il camino acceso) - E noi per nulla avremo passato tutta la notte ad abbrustolirci malamente le zampe al fuoco con una corrente gelata nella schiena.
Massena
- Meglio essere in marcia, almeno si fa qualche cosa... Ci può sempre essere la distrazione o di ricevere qualche botta.
La Harpe
- Ma dunque i plenipotenziari sardi non hanno ricevuto l’ordine di trattare a qualsiasi costo? Si era detto...
Vedel
- Che so io? ... La Tour ha cominciato a prender le cose dall’alto... Sembrava quasi che stesse a lui il dettare patti. Egli si è messo a parlare in un lungo preambolo delle «condizioni a cui il re suo signore sarebbe stato disposto ad accettare una tregua»...
Serrurier
- E Bonaparte?
Vedel
- Ha ascoltato in silenzio... da principio, poi quando ha capito che il preambolo non sarebbe finito tanto presto ha interrotto secco secco il generale La Tour e gli ha chiesto con quella voce chiara e tagliente che è la sua quando comanda: «Avete lette le mie condizioni? Il re le accetta? Voi non mi dovete, signori, che un sì od un no». Ed aggiunse: «Quanto alle mie proposte, sappiate subito che non vi apporterò la menoma modificazione. Dal giorno che le ho offerte ho preso Cherasco, ho preso Fossano, ho preso Alba. Non rincrudisco sulle mie prime domande e dovreste trovarmi moderato».
Serrurier
- E i delegati sardi?
Vedel
- Si dibattono... persistono nell’intercedere su taluni punti... La Tour manifestava poco fa il timore «che il re potesse essere costretto, verso i suoi alleati d’Austria a qualche misura contraria alla lealtà ed alla delicatezza dei suoi principii...». Aveste sentito Bonaparte!
Qualche voce
- Che cosa ha risposto?
Vedel
- «Piaccia a Dio ch’io non esiga da voi nulla di contrario alle leggi dell’onore!».
Angereau
(a Cacault) - Che commediante!
Vedel
- E con che solennità ha pronunciato quelle parole!...
Voci
(dal di fuori) - Il caffè pel generale Bonaparte!

(Qualcuno passa recando del caffè. Vedel si ritira. I generali riuniti ora in un sol crocchio stanno per entrare in una discussione animatissima, ma Angereau conduce verso di loro Cacault, e i discorsi battono altra strada).

Angereau
(presentando) - Compagni, eccovi il cittadino Cacault, che viene qui appositamente per ficcare il naso nei fatti nostri. È un regalo del Direttorio... In mancanza di quattrini ci si mandano le notizie di Parigi... Volete sapere se al Club di Clichy si cospira sempre, se al Palais-Royal si balla, se la Tallien passeggia ancora vestita da... Venere, se madama Bonaparte è fedele...

(Vedel ricompare. Angereau resta a mezzo della sua chiacchierata. L’attenzione si concentra nuovamente verso il giovane aiutante).

Una voce
- Venite ora a cercare lo zucchero?
Vedel
- No, mancano i cucchiaini.
Angereau
- E Bonaparte vuole che noi li fabbrichiamo?
Vedel
- Bonaparte manda a cercare quelli dei soldati...
Angereau
- I grossi cucchiai di ottone giallo che servono ai soldati per la zuppa... quando c’è?
Vedel
- Precisamente, i grossi cucchiai di ottone giallo... Serviranno quelli!

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* * *


Il tocco di notte. Le tazze di caffè sono state vuotate, ed il giallo sfacciato dei grossi cucchiai d’ottone fa sul tavolo, accanto alle chicchere bianche, una macchia di stranissimo effetto. Al lume dei doppieri, le cinque figure adunate, affaticate dalla veglia e dalle discussioni, appaiono ora ceree. Bonaparte è irremovibile; La Tour, fosco; Costa di Beauregard tenta disperato l’ultima resistenza.


Bonaparte
- No, signori, più nessuna resistenza vi è possibile e quello solo che ora il re di Sardegna può è risparmiare una inevitabile effusione di sangue, contraria del resto anche alla ragione. Beaulieu vi ha abbandonato...
Costa di Beauregard
- Ma il generale Colli si trova ancora su una linea strategica abbastanza buona per proteggere Torino...
Bonaparte
- Sì, ma una linea lunga una quarantina di chilometri e con soli 10.000... uomini... se io sono ben informato. Ne occorrerebbero a Colli almeno 30.000 per tentare un’azione decisiva... Poi, perché il re di Sardegna si presterebbe più a lungo al giuoco dell’Austria? Perché rischierebbe, - in un ultimo supremo tentativo che certo sarebbe vano, - e il suo trono, e le vite dei soldati, e le proprietà private unicamente a profitto di alleati egoisti e traditori i quali, non arrischiando nulla pel loro proprio conto, possono leggermente esporre gli altri al pericolo pel servizio dei loro interessi? Inoltre, il vostro paese è minato dalla rivoluzione e tutto sarebbe con noi quando noi insediassimo a Torino la repubblica...
Costa di Beauregard
- Vi illudete, generale. Io conosco il mio paese. La rivoluzione non può aver presa sul Piemonte. Le nostre popolazioni sono troppo ligie alle vecchie istituzioni ed alle vecchie abitudini, troppo affezionate alle tradizioni che sempre hanno fatto il loro orgoglio e la loro indipendenza! ... Se anche qualche spirito esaltato dovesse traviarle, come ad Alba...
Bonaparte
(interrompendo, e parlando con tanta maggior foga quanto minore sa la sua ragione, essendo egli stesso convinto che l’agitazione repubblicana in Piemonte non può essere usata che «come uno spauracchio») - Spiriti esaltati? Ma quelli che voi chiamate «spiriti esaltati» non sono solo ad Alba, ma dappertutto in casa vostra! ... Non è da ieri che le popolazioni vengono incontro agli eserciti della Repubblica come a liberatori... Ovunque si cospira... Sapete voi che cosa si prepara a Genova? No? Lo so io! Si preparano fondi per aiutare qui il movimento rivoluzionario. Si sono già raccolti settecentomila franchi. E quello che avviene a Torino non spetta a me di apprendervelo! A Torino, tutto è pronto per una sollevazione. Vedete se io sono bene informato!... La famiglia reale, quella del principe Carignano non hanno già i loro bagagli carichi sulle vetture e non sono pronte a partire alla prima cannonata? Se la Corte non sentisse sotto di sé il suolo minato non avrebbe prese le precauzioni... che voi sapete benissimo! Le Guardie del Corpo del re, che fin qui non erano state che truppe di lusso, hanno lasciato le loro armi da parata, e provvedute di sciabole di cavalleria - vere armi, questa volta - accampano nei prati di Vanchiglia! Un reggimento è stato chiamato da Susa. Il reggimento di Moriana accampato tra il Po e Porta Nuova. Il castello del Valentino, il Collegio delle Provincie sono mutati in caserme... Ma se tutto ciò può bastare per domare una sommossa è troppo poco per arrestare una rivoluzione. Lasciate che le nostre truppe avanzino verso Torino al canto della Marsigliese!... Vorrete voi, pel rifiuto di modestissime concessioni, perdere tutto?...

(Costa di Beauregard rimane come accasciato, incapace di pronunciare parola, La Tour sembra studiare ancora un’estrema obbiezione. Bonaparte, levatosi in piedi, prende a canticchiare un’aria incomprensibile fra i denti, segno in lui di malumore e di impazienza).

La Tour
- ... Pure, il generale Bonaparte potrebbe ritornare sovra qualche sua esigenza... Ce ne sono alcune che non presentano affatto utilità... Il passaggio del Po, per esempio, che egli si riserva a Valenza...
Bonaparte
(brusco) - ... La mia Repubblica affidandomi il comando di un esercito mi ha creduto provvisto di sufficiente discernimento per giudicare di ciò che convenga ai suoi interessi, senza che io abbia a ricorrere ai consigli del mio nemico!

(La Tour vuol ribattere, ma Bonaparte non glie ne lascia il tempo).

Bonaparte
- Signori (guardando il suo orologio) sono le una e mezza... Vi prevengo che l’attacco generale è ordinato per le due. Se io non ho la certezza che Cuneo sarà rimessa nelle mie mani prima della fine della giornata e se le altre clausole del trattato non saranno accettate, l’attacco non sarà differito un istante. (Si allontana di qualche passo dal tavolo, poi vi ritorna e con voce stridente aggiunge alla minaccia): Mi potrà accadere di perdere delle battaglie, ma non mi si vedrà mai perdere un minuto per incertezza o per indolenza!

Al tavolo, la discussione è continuata dagli altri delegati. Bonaparte dopo aver percorso due o tre volte irrequieto pel lungo la sala, pare calmarsi. Si avvicina allo scrittoio dove sta lavorando il segretario Arnoult, e si siede al suo posto. Rimane alquanto colla testa volta in alto, come sognando, poi prende un foglio di carta e rapidamente si mette a scrivere:

«Mia adorata Giuseppina, non so quale sorte mi attende, ma se essa mi allontanerà più a lungo da te, mi sarà insopportabile. Il mio coraggio non va fino a quel punto. Ci fu un tempo in cui mi inorgoglivo del mio coraggio, e talvolta, gittando gli occhi sul male che potrebbero farmi gli uomini, sulla sorte che il destino potrebbe riservarmi, fissavo le sventure più inaudite senza battere palpebra... Ma oggi, la funesta idea che la mia Giuseppina può essere malata, lo spaventoso pensiero che può amarmi con minore ardore, mi sconvolge l’anima, mi aggela il sangue, mi rende triste abbattuto, non mi lascia nemmeno il coraggio del furore o della disperazione!...».

(Bonaparte, isolato nell’unico pensiero della sua Giuseppina che adora, continua a scrivere; e frattanto il dramma politico di cui egli è l’anima, ad un passo da lui sta per avere il suo epilogo. I vinti sono sul punto di ritirarsi dalla lotta).

Costa di Beauregard
(con grande tristezza e senza tentare affatto di nascondere la commozione che gli vela la voce di pianto) - ... Perché tenterei io nascondere il mio dolore? Ci sono momenti in cui si sentono per la propria patria tenerezze sconosciute... e sono i momenti della sua sventura! La forza e la fatalità sono contro di noi... Pure mi sembra oggi chinando il capo al destino, mettendo il mio nome sotto questi patti, mi sembra che io tradisca, che i nostri morti caduti sui nostri campi debbano chiedermi conto del loro sangue... E fra questi morti è il mio stesso figliuolo!
Berthier
- Marchese di Beauregard, i vostri avversari pei primi rendono omaggio all’onore ed al valore del Piemonte, che la mala sorte non fa che rendere più puri e più luminosi...
Costa di Beauregard
- Sì, è di una macchia non di una ferita che l’onore del Piemonte potrebbe soffrire... e grazie a Dio, macchie il Piemonte non ha!

(Al suo tavolino, Bonaparte continua l’appassionato monologo con Giuseppina lontana. Seguitando a scrivere). «Junot porta a Parigi ventun bandiere. Tu devi ritornare con lui, intendi?... Sventura senza rimedio, dolore senza consolazione, continue pene se lo vedessi tornare solo, mia adorata amica... Ma tu verrai, non è vero? Tu sarai fra poco qui, accanto a me, sul mio cuore, nelle mie braccia! Prendi le ali, vieni! vieni!... Ma viaggia tranquilla. La strada è lunga, cattiva, faticosa. Se la vettura ti si dovesse ribaltare, se tu dovessi sentirti male, se la fatica...».


* * *


(Alla stess’ora in cui Bonaparte scrive queste linee, - poco manca allo scoccar delle due - nella sala attigua, tra l’accolta dello Stato Maggiore qualcuno commenta e ripete in un crocchio le notizie portate da Cacault da Parigi. Una, sopra tutte, sembra interessare e divertire, ma la si susurra a bassa voce e con circospezione): A quanto sembra, dunque, sono corna! - Altro che sembra... è!... Tutta Parigi ne parla! - Ecco che cosa vuol dire cercarsi la moglie nell’alcova di Barras! - Ma la moglie gli ha portato per così dire in dote il comando supremo dell’esercito d’Italia? - Zitto! - Credete voi che il generale sia geloso? - Diavolo, un côrso, e con quel caratterino che ha lui! - E come si chiama... l’altro? - ... Un certo Ippolito Charles!...


* * *


(Un lembo dell’accampamento francese da cui si scorge un’ala del palazzo Salmatoris. L’alba emerge livida dalla notte ancora stillante di pioggia. Rulli di tamburi; echeggia la diana; qualche fumo violetto sale al cielo. Un giovane comandante dei granatieri - è Lannes - passa in compagnia di un individuo strano, un po’ artista, che segue la campagna da dilettante, facendo schizzi, disegni, caricature, e che la sera avanti era stato a lungo fisso sull’ombra di Bonaparte, apparsa da una delle finestre del palazzo).

Lannes
(continuando un racconto) - ... Alle due precise, come Bonaparte l’aveva voluto, l’armistizio era firmato... Poi si fece un po’ di cena... Magra cena! Non c’era di mangiabile che le cialde regalate dalle suore...
L’artista
- E il generale?
Lannes
(additandogli una finestra del palazzo) - Eccolo! È in compagnia di Costa di Beauregard, che si è trascinato con sé in un vano di finestra, per vedere il levare del sole.
L’artista
(meditabondo: forse gli traversano la mente visioni d’avvenire, grandi tele di battaglie e di gloria) - ... E anche noi, Lannes (facendo un cenno verso la finestra) non vi pare che assistiamo ad un levare di sole?
Lannes
- Forse, Gros! (Ed entrambi continuano la loro strada silenziosi... I loro pensieri sono pieni di fantasmi, di grandezze e di vittorie... Immagina, Lannes, che egli sarà un giorno il duca di Montebello? Travede, Gros, nel futuro, i suoi quadri: «Il Ponte di Arcole», la «Visita agli appestati di Jaffa», la «Battaglia di Aboukir», il «Campo di battaglia di Eylan»? Certo, essi già si sentono presi nella raffica sovrumana che trascina «l’Uomo fatale». Un quarto d’ora più tardi risuona in tutti i bivacchi il proclama del Vincitore, che Lannes appunto aveva avuto l’incarico di distribuire):


«Soldati, voi avete in quindici giorni riportato sei vittorie, preso ventun bandiere, cinquantacinque pezzi d’artiglieria, parecchie piazzeforti, conquistata la più ricca parte del Piemonte, voi avete fatto quindicimila prigionieri, ucciso o ferito più di diecimila uomini».

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«Grazie vi siano rese, soldati! La patria riconoscente vi dovrà la sua prosperità; e se, vincitori di Tolone, voi presagiste l’immortale campagna del 1794, le vostre vittorie attuali ne presagiscono altre anche più».