Primo maggio/Parte settima/V

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Parte settima - V

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Il giorno dopo era la vigilia del 1° Maggio. Egli passò la mattinata al lavoro, a preparar la conferenza che doveva tenere nel teatro Nazionale, eccitato dalla febbre, affollato di idee, e, fatta colazione in fretta, si rimise all’opera, commosso sempre più, a misura che s’avvicinava l’ora in cui avrebbe parlato per la prima volta, in un giorno solenne, a una folla eccitata, udito dal Rateri, dalla Zara, da tutta la schiera dei propagandisti, sotto la sorveglianza delle autorità della polizia; felice radiante d’aver trovato, come credeva, il modo di dir tutto senza dar pretesto a moniti, con una semplicità intelligibile a tutti, con un’elevatezza superiore ad ogni sospetto d’incitamento all’odio, con un sentimento d’umanità così profondo e vibrante, che avrebbe turbato la coscienza anche a chi aveva per uffizio di soffocarne ogni manifestazione.

Ma verso le tre fu interrotto da una visita inaspettata. Calotti entrò affannato, con una notizia, anzi con molte notizie scritte sul viso acceso, che annunziava una lunga corsa. E le spiattellò tutte d’un fiato. - L’adunanza al teatro proibita dall’autorità - lui perquisito in casa - poi chiamato alla Questura - una ventina d’operai noti ad Alberto perquisiti e arrestati - arrestati altri innumerevoli, a casa, per le osterie, nei caffé, negli opifici, giovani e vecchi, socialisti, anarchici, anche dei più prudenti, anche di quelli che non avevan nessuna relazione col partito, a casaccio, a retate di mezze dozzine, senza ombra d’indizio, come sotto il soffio d’un terror panico; le carceri, tutte le sezioni ne rigurgitavano; non li sapevan più dove mettere; un’indegnità. E citò la legge inglese, l’Habeas corpus; e gli arresti continuavano; prima di domani ce ne sarebbero state delle migliaia; le pattuglie erano già in moto; tutto il presidio sotto le armi; tutte le autorità sottosopra; e già uno sgomento mortale in tutta la borghesia. E la conclusione di tutto questo, fu una fregatina allegra di mani, e una risata insaccando la testa nelle spalle, che s’affrettò a tradurre in quattro [...] parole: - Il governo perde la testa: signor Bianchini, siamo alla fine!

Poi, ripreso fiato e sedutosi, raccontò le cose per filo e per segno. Tre agenti gli erano capitati in casa la sera prima, e avevan rovistato tutto senza trovar niente; egli aveva già messo in salvo le carte pericolose: e con una infinita compiacenza si batté le mani sulla giacchetta imbottita di giornali socialisti d’altre province stati sequestrati, come se avesse salvato un carico di pietre preziose. Ma il più bel tiro che aveva fatto alla polizia, quello di cui gongolava, era questo: che essi avevano rispettato, prendendolo per un calendario ordinario, un Calendrier socialiste, appeso a una parete, simile in tutto agli altri, ma nel quale, a ogni giorno del mese, invece del Santo, c’era segnato un avvenimento rivoluzionario, la vittoria d’uno sciopero celebre, la morte d’un socialista famoso. Con questo, gli pareva d’aver corbellato le autorità in un modo magistrale. E gongolando, rifaceva il modo come un questurino miope aveva avvicinato il muso al cartoncino, e poi tirato oltre dopo aver letto stentatamente: - Calendrier. - Ma il suo più sfolgorante trionfo l’aveva riportato alla Questura, dove un vecchio delegato con gli occhiali verdi l’aveva ammonito. Egli aveva avuto con lui una discussione in cui diceva d’averlo annichilito.

- Dunque, lei è anarchico.

- Domando scusa. Socialista; che è precisamente il contrario.

- Oh! Non ci vedo gran differenza!

- Oh... signor delegato! Come può confondere l’anarchico che vuol sacrificare la società all’individuo, con l’individuo che è accusato di voler sacrificare l’individuo alla società?

- Eh! se è la stessa minestra! L’uno vuol fare dell’uomo un selvaggio, l’altro ne farebbe uno schiavo.

- Ma pardon! Uno schiavo! Ma se il collettivismo vuole appunto metter fine alla schiavitù economica dei lavoratori in modo che la libertà delle vocazioni sia rispettata, e che il lavoro stesso sia alleviato e alleggerito!

E allora il delegato aveva risposto: - Io non son qui per discutere con lei! - Insomma, l’aveva schiacciato. Così bisognava trattarli. E n’era radiante, quasi pienamente consolato del comizio proibito e degli arresti fatti. E dopo molte altre chiacchiere, quando fu sull’uscio per andarsene, diede col volto impensierito, la notizia più grave. Gli constava in modo positivo che gli anarchici, capo Baldieri, volevano far qualche colpo. Da alcuni giorni facevano un grande armeggio, vedeva i caporioni in moto, aveva inteso parlare di alcuni venuti da Milano, di stranieri anche, e di armi nascoste. - Bianchini gli domandò se conosceva le forze del partito - E chi le può conoscere. Si poteva fare un’induzione. Egli ricordava uno specchio degli anarchici di Chicago. In 7300 erano - 300 circa pronti subito a qualunque cimento - 5000 pronti e una rivolta quando ci fosse una speranza di successo; ma cauti nelle occasioni ordinarie da temersi soltanto in casi di grandi disordini; 2000 aderenti su cui non si poteva fare assegnamento. Fatte le proporzioni - si poteva contare che la prima categoria fosse ristrettissima - ma bastava questa! - È vero - Egli ne conosceva per cui la vita era meno di un mozzicone di sigaro. Fortunatamente divisi anch’essi in drappelli in cui ciascuno gravitava intorno a uno dei più audaci. Chi ne aveva di più, anche per la maggiore istruzione, per l’ascendente fisico, per la risolutezza era Baldieri.

Questo gli spiaceva. Si facevano ammazzare, montavano la testa ai socialisti più impazienti, facevan ricascare l’odiosità sul nostro partito, un monte di malanni. Se lui, Bianchini, che era in buona relazione, l’avesse potuto quetare... Ma dove pescarlo? Egli sapeva che fin dal giorno prima il Baldieri era cercato dalla polizia, e era sfrattato di casa. - Se seguon dei guai - disse sopra pensiero - siamo noi che pagheremo i vetri rotti! - E se n’uscì, dicendo a bassa voce che andava a preparare una riunione per la sera, per mettersi d’accordo di fare una bicchierata fuor di porta, con relativa propaganda, scalzando così il terreno alla Questura mentre sguinzagliava i suoi segugi in città. E diceva questo come se quell’innocente vino che avrebbero bevuto fosse stato sangue della polizia, che dovesse rimanerne sfinita. Gridò ancora dalla scala, ma piano, e con grandissimo gusto: - Siamo agli ultimi strepiti!

Appena fu uscito, il Bianchini uscì pure, a rapidi passi. Al Cambiasi, in cui aveva piena fede, Baldieri doveva aver rivelato il suo rifugio, per aver notizia di ciò che sarebbe seguito in casa sua. Egli voleva farsi dar l’indirizzo, per andar a tentare di smoverlo dalla sua risoluzione, ché, almeno il tentarlo, gli pareva un suo sacro dovere. Ma non ebbe da salir le scale: Cambiasi usciva dal portone mentre egli era a metà di corso Palestro. Quando questi lo vide, affrettò il passo, facendo un gesto e sorridendo, come chi ha una notizia da dare. La notizia l’aveva, infatti, e assai strana: un colpo di scena di commedia semiseria. - La signora Luzzi era caduta in mano della polizia! - Alberto credé che celiasse. Ma il fatto era vero. Essa doveva avere da qualche tempo una relazione col Baldieri. E che? Non c’era da stupirsi. Un bellissimo uomo, colto, di bei modi, e certo più interessante di suo marito.

Che importava che fosse anarchico? Ogni donna che tradisce suo marito è anarchica1, non importa con chi lo tradisca. Ma già, il torto era suo: egli aveva troppo spesso parlato del Baldieri, in presenza sua, presentandolo sotto un aspetto poetico. Quanto a lui, non si stupiva. Era tra i precetti del catechismo rivoluzionario del Bakounine che l’anarchico dovesse penetrare con arte nella società borghese, per far la lista dei condannati: e non aveva egli chiamato le donne il suo "più prezioso tesoro" le più abili nella propaganda quando ci si mettono, le più destre a scoprir segreti e a corrompere le autorità? Ora si spiegava perché da un tempo la Luzzi raffittisse le visite a sua moglie e a ore insolite: prima o dopo della visita, doveva salire tre branche di scale più su. Fatto sta che quella mattina, ignorando che il Baldieri, cercato dalla polizia, aveva preso il volo, era salita, e s’era trovata a sospinger delicatamente l’uscio semiaperto, nel momento stesso in cui tre agenti della questura eran dentro a fare una perquisizione. Un’amica del dinamitardo! Naturalmente, l’avevano acchiappata. Figurarsi il terrore, le supplicazioni, le lacrime. Non le era però mancata la presenza di spirito: aveva dato una spiegazione ingegnosa: venuta per visitare la moglie dell’ingegner Cambiasi, amica sua, distratta, aveva salito tre scale di più, e s’era trovata senz’avvedersene a quell’uscio, che rispondeva perfettamente, per situazione, a quello di sotto. - Allora - aveva detto il capo degli agenti - andiamo a interrogar l’ingegnere - Eran discesi da lui: egli aveva capito a volo, confermato tutto, persuaso quei signori. E tutto pareva finito. Ma, per misura di precauzione, il capo avendo voluto sapere il nome - a quel nome di Luzzi - aveva drizzato gli orecchi! Il Luzzi era associato a un giornale anarchico - era segnato nell’elenco che aveva [in] tasca. L’affare s’era complicato! E c’era voluta tutta per capacitarlo un’altra volta, dando spiegazioni minute sulla condizione e sulle idee della persona, e spiegando l’abbonamento con un capriccio di curiosità. Infine, se n’erano andati con dei sospetti, e non c’era da maravigliarsi... E qui il Cambiasi diede in una risata: - Ah! una perquisizione della polizia al signor cavaliere Luzzi sarebbe il più bel giorno della mia vita! - In fine, rispose, quando tutto fu finito, la signora ebbe un mezzo svenimento, pianse, prese una limonata, e scese le scale come una freccia...

Alberto era rimasto così stupito della cosa, che aveva dimenticato il suo scopo di domandar l’indirizzo del Baldieri. Quando lo domandò, Cambiasi si fece serio, e esitò, parendogli di non aver diritto di darlo. Alberto gli spiegò il suo fine: andava coll’onesto proposito di scongiurare, se era possibile, dei disordini sanguinosi:

Baldieri aveva fiducia in lui: lo sapeva incapace di tradirlo: egli poteva dar l’indirizzo con la certezza di non mancare a un dovere. Allora Cambiasi cercò di dissuaderlo. - Bada - Alberto, tu vai a parlare a un esaltato: la contraddizione irrita il fanatismo più che l’ostilità violenta: te ne potresti pentire. Ma sul viso d’Alberto splendeva così viva la risoluzione, il coraggio, la coscienza di compiere un sacro dovere, che, a malincuore, gli dié l’indirizzo. Stava in via Monte di pietà, a un tal numero, al quarto piano, non sapeva in casa di chi, a un uscio dov’era scritto un nome sopra una lastra d’ottone in forma di losanga.

Salite delle interminabili scale anguste e oscure, quando si trovò sul pianerottolo di fronte all’uscio, Alberto titubò un momento, - poi batté leggermente all’uscio con la nocca delle dita, e tese l’orecchio. Gli parve di sentire un fruscio, come un fremito. Ma nessuno rispose, e l’uscio non mosse. Ribatté leggermente - gli parve di nuovo di sentire come il soffio d’una bocca umana, di dentro. Ma null’altro. Allora si guardò intorno, con un senso di inquetudine, come chi sente d’essere spiato da qualche occhio invisibile. Ma ebbe vergogna di quel senso, e ribatté, più risoluto.

Una voce aspra, che non conosceva, uscì dal buco della serratura: - Chi è?

- Son io - rispose - Alberto Bianchini.

Seguì un momento di silenzio. Poi un’altra voce, quella del Baldieri, - ripeté la domanda.

Egli ripeté la risposta, a voce più chiara.

Dopo un’altra esitazione l’uscio s’aperse, lentamente, senza che si vedesse nessuno, come se movesse per forza propria, ed egli entrò.

Egli provò sul primo momento l’impressione sgradevole di chi, credendo di trovarsi davanti una sola persona conosciuta, trova con questa un gruppo di ignoti. La sua sorpresa fu così brusca che egli non vide nemmeno, nel primo momento, la stanza angusta e squallida in cui si trovava, bassissima, ingombra di vecchi mobili troppo grandi, che le davan l’aspetto d’un piccolo magazzeno di ferravecchie... Non vide altro che sette uomini tutti ignoti fuor che il Baldieri, ritti davanti a lui, serrati gli uni agli altri come una pattuglia in agguato, in atteggiamento di diffidenza, con gli sguardi fissi nei suoi, immobili e muti. Avevan tutti una straordinaria serietà -, eran tutti giovani -, due imberbi - uno con una gran barba rossa -, uno grande e magro, di viso smorto, con una gran zazzera, affetto di strabismo. Tutti occhi fosforescenti, fronti in cui si vedeva confitto il chiodo d’un’idea fissa, bocche energiche - tutti col capo alto di chi provoca un nemico. Se il silenzio di quei sette spettri, in quel sepolcro di stanza, si fosse prolungato, egli avrebbe impallidito.

- Cosa vuole? - gli domandò il Baldieri, con accento brusco, ritto in mezzo alla stanza, davanti agli altri - Chi le ha detto dov’ero?

- Un amico vostro e mio -, rispose fermo il Bianchini -, che rivelando un segreto a me, pregato, sapeva di confidarlo a un uomo d’onore.

- Cosa è venuto a far qui? - ripeté bruscamente Baldieri.

- Baldieri - rispose Alberto, con tuono benevolo - questo non è il tuono con cui lei è usato a parlarmi. Che cosa ho fatto per meritare un tal cambiamento?

- Mi risponda dunque - rispose con tuono più mite, ma senza attenuare l’espressione lievemente interrogatrice degli occhi.

Allora egli disse francamente: aveva saputo che volevan tentare un colpo: come suo amico, veniva a sconsigliarlo: gli pareva che gli desse diritto a far questo passo le buone relazioni che erano state fra loro, nonostante la differenza delle idee: gli doleva sinceramente, non solo come uomo, ma come socialista, di veder spargere sangue inutilmente: gli doleva che lui, Baldieri, ponesse a un rischio la libertà e la vita, senza alcun frutto.

Il Baldieri fece un atto d’impazienza; tutti gli altri, a una voce, gli risposero malamente - Se non è venuto per altro, se ne vada pure - Che ne sa lei? Chi l’ha informato? - Chi lo manda? - Sarà venuto per informarsi! - Vada a far la morale ai socialisti! - Una voce disse: - Un bel modo di far la spia!

Alberto fissò lo strambo che gli aveva dette queste ultime parole, e rispose tranquillamente: - Lei sa di calunniarmi dicendo questo. Lei sa che ho abbracciato la causa del socialismo senza interessi né ambizione, - sa che non faccio differenza nel mio cuore tra socialisti ed anarchici, perché c’è un’idea che li unisce più grande di tutte le idee che li separano - e sa che sarei pronto a morire per questa idea...

Alcuni fecero una spallata.

- Non importa. Il concetto che potete avere di me, non mi preme, poiché non penso più a me. Io parlo a lei, Baldieri. E caldamente, cercò di persuaderlo. Che cosa volete fare? Io v’approverei, sarei con voi, se si potesse sperare di dar anche soltanto una scossa salutare, efficace. Ma questo non è. Voi non potete nemmeno raggiunger lo scopo d’una dimostrazione sanguinosa efficace. Non avete seguito. Non farete che mostrare l’esiguità di numero, far delle vittime, secondare i desideri della polizia e darle una gloria, privare il vostro partito degli elementi più utili, tagliare i mezzi alla vostra propaganda. Io ammetto la temerità; ma quando ci sia solo una probabilità lontanissima di riuscire; che ora manca. Voi stessi avete detto che siete per l’azione collettiva, non per l’individuale. Ma questa che tentate è individuale, non collettiva. È sangue sprecato. È la vostra libertà buttata via per nulla. È un servizio che rendete alla borghesia, un trionfo che le offrite, e che riscuoterà senza nemmeno pagarlo con un’ora di paura...

Tutti, meno Baldieri, lo interruppero con segni vivi d’irritazione. - Eh! la pianti, sacramento! - Porti altrove il suo decotto di papavero - L’hanno ingannata - disse uno più accorto - non abbiamo nessuna intenzione. - Cosa ne sa lei? - E uno più violento, fece un passo verso di lui, dicendo: - Faccia la grazia di pigliar la porta. - Il Baldieri lo trattenne.

- Oh mi potete insultare e percuotere! - rispose Bianchini - che me ne importa? Sono nelle vostre mani. Ma non capite che parlo per l’interesse vostro? Della vostra stessa causa che ha un ideale più alto ancora del socialismo, che ha bisogno di agitatori, non di vittime, che per ogni capo ardito perduto, perde cento seguaci indecisi? Ma che volete che m’abbia spinto qui, se non un sentimento di generosità, la convinzione profonda d’aver ragione, e di consigliarvi per il vostro meglio? Voi non siete anarchici ora, per me; siete uomini, siete lavoratori, siete miei amici, sangue del popolo che soffre, e per cui vivo e lotto io pure. Come potete diffidare anche di me? Baldieri, mi risponda lei!

Baldieri non rispose - era evidentemente un suo proposito - egli teneva gli occhi fissi sul Bianchini, come assorto in un pensiero.

- Non rispondete? - domandò agli altri.

- Non abbiamo nulla da dirle - rispose brusco uno dei più giovani e più arditi, pallido.

Bianchini fece una pausa; poi con affetto: - Voi siete i più audaci. Avete nelle mani, oltre le vostre, la libertà e la vita d’altri. Conservatela per sacrificarla in una occasione in cui siate meno sicuri, perché lo siete sicuri, di sacrificarla inutilmente. È ridicolo che io vi preghi; eppure... vi prego... vi scongiuro, in nome di tutte le miserie che volete sollevare, e che sentiamo tutti egualmente, di seguire il mio consiglio. Mai in vita mia non ho fatto una preghiera più sincera di questa; e non ne udrete mai un’altra simile da un uomo che vi voglia più bene di me.

Uno di essi rise - gli altri tacquero. Il Bianchini interpretò quel silenzio come un principio di irresoluzione e di consenso, e fece un passo verso l’uscio.

Quello che aveva riso, si mosse come per impedirgli l’uscita, con faccia sospetta. Egli vide su altri visi un moto di diffidenza. Capì il pensiero, - s’avvicinò a Baldieri -, e gli porse una mano.

- Baldieri - gli disse -, noi siamo andati insieme a soccorrere i poveri. Lei m’ha visto in faccia davanti alla miseria del popolo, e al pianto dei bambini affamati. Crede lei che, uscendo di qui, io possa abusare del secreto che m’è stato confidato?

- No -, rispose bruscamente il Baldieri.

- Addio -, disse il Bianchini, stringendogli la mano. Poi, porse la mano a un altro, poi ad altri quattro: tutti gliela strinsero. La porse in ultimo allo strambo: questi ritirò la sua.

Egli uscì.

Note

  1. Nell’originale "Ogni donna che tradisce suo anarchica". Modificato dopo confronto con EDMONDO DE AMICIS, Opere scelte, a cura di Folco Portinari e Giusi Baldissone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996.