Prose della volgar lingua/Libro terzo/LI

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Terzo libro – capitolo LI

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Esce So, che alcuna volta si disse Saccio, sí come si disse dal Boccaccio in persona di Mico da Siena: Temo morire, e già non saccio l’ora, la qual voce tuttavia non è della patria mia; e che ha nella terza voce Sa, e alcuna volta Sape, di cui si disse, per terza voce, e Sapere per voce senza termine. Del qual verbo piú sono ad usanza Saprò e Saprei, che Saperò e Saperei non sono. E questo parimente dire si può di tutte l’altre voci di questi tempi. Esce Fo, che si disse ancora Faccio da’ poeti, sí come la disse messer Cino, di cui ne viene Face, poetica voce ancora essa, della qual dicemmo, e Facessi; le quali tutte da Facere, di cui si disse, voce senza termine usata nondimeno in alcuna parte della Italia, piú tosto è da dire che si formino. Escono Riedi e Riede, da’ poeti solamente dette, se Dante l’una non avesse recata nelle sue prose, e in tanto ancora escono maggiormente, in quanto elle sole, che in uso siano, cosí escono senza altra. È il vero che ’l medesimo Dante nella sua Comedia, e messer Cino nelle sue canzoni, e il Boccaccio nelle sue terze rime, Redire alcuna volta dissero; ma questa pose Dante eziandio nelle sue prose, e Pietro Crescenzo altresí, e oltre acciò Rediro, in vece di Tornarono nell’istoria di Giovan Villani, e Redí, in vece di Tornò, in piú antiche prose ancora di queste si leggono. Tengo Pongo Vengo e simili, non si può ben dire che escano, come che essi, nella voce senza termine e nella maggior parte dell’altre, la G non ricevano. Escono per aventura degli altri, de’ quali, perciò che sono piú agevoli, non ha uopo che si ragioni. E sono di quelli ancora, che poche voci hanno, sí come è Cale, che altre voci gran fatto non ha, se non Calse Caglia Calesse Calere e alcuna volta Caluto e radissime volte Calea e Calerà e antichissimamente Carrebbe, in vece di Calerebbe.