Prose della volgar lingua/Libro terzo/XLI

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Terzo libro – capitolo XLI

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Ora queste voci tutte al tempo si danno, che corre quando altri parla. A quello che già è traccorso, non si dà voce sola e propria, ma compongonsene due, in quella guisa che già dicemmo, e pigliasi questo verbo Avere e ponsi con quello, del quale noi ragionare intendiamo, cosí: Avere amato Aver voluto Aver letto Avere udito, e Udita e Uditi medesimamente. Et è ancora, che la lingua usa di pigliare alle volte quest’altro verbo Essere in quella voce: Se io fossi voluto andar dietro a’ sogni, io non ci sarei venuto, e simili. Il che si fa ogni volta che il verbo, che si pon senza termine, può sciogliersi nella voce, che partecipa di verbo e di nome, sí come si può sciogliere in quella voce Andare, che si può dire Se io fossi andato. Là dove se si dicesse Se io avessi voluto andar dietro a’ sogni, non si potrebbe poscia sciogliere e dire Se io avessi andato dietro a’ sogni, perciò che queste voci cosí dette non tengono. Fassi questo medesimo co’ verbi Voluto e Potuto, che si dice Son voluto venire, Son potuto andare. Perciò che Son venuto e Sono andato si scioglie, là dove Ho venuto e Ho andato non si scioglie. Creduto medesimamente sta sotto questa legge anch’egli; al quale tuttavia si giugne la voce, che in vece di nome si pone, dico il Mi o il Ti o pure il Si: Io mi son creduto, e cosí gli altri. Quantunque alcune rade volte è avenuto, che s’è pur detto Essere voluto, in vece semplicemente di dire Aver voluto; sí come disse il medesimo Boccaccio: E quando ella si sarebbe voluta dormire, o forse scherzar con lui, et egli le raccontava la vita di Cristo. Al tempo, che a venire è, si danno medesimamente le composte voci, sí come tuttavia dico: Essere a venire o Essere a pentirsi e somiglianti -.